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Fuga da Orban. Salvini, Meloni e quel summit troppo putiniano

Vado o non vado? Meloni e Salvini, invitati alla convention conservatrice Cpac a Budapest con Orban, mantengono un basso profilo. L’istantanea tra Carlson, Farage e Abascal non è il massimo. E il nodo russo si conferma pieno di spine per la destra italiana

Un dilemma morettiano ha attanagliato in questi giorni Matteo Salvini e Giorgia Meloni. A Budapest, domani, c’è l’edizione europea del Cpac (Conservative political action conference), la più importante kermesse dei conservatori americani traslocata per l’occasione nella capitale ungherese. Officia la messa Viktor Orban, partecipa un nutrito drappello di sovranisti di qui e di là, dal Brexiteer Nigel Farage al leader di Vox Santiago Abascal, da Eduardo Bolsonaro (figlio del più celebre Jair) fino a volti noti dei Repubblicani Usa come Mike Waltz e l’ex Capo di gabinetto di Donald Trump Mark Meadows.

Non proprio lo star-system del mondo conservatore transatlantico. Se infatti il Cpac, nella sua versione originale, quella che ogni anno si tiene a Orlando, in Florida, riunisce puntualmente il gotha dei repubblicani e conservatori d’oltreoceano, da Trump a Mitch McConnell, lo stesso non si può dire di questa edizione 2.0. Tra gli invitati, sulla carta, ci sono anche i due leader della destra italiana: Salvini per la Lega e Meloni per Fratelli d’Italia. Fra gli speaker confermati però il loro nome non appare.

La Meloni invierà un video-messaggio, fanno sapere dall’organizzazione, e un europarlamentare, Vincenzo Sofo, passato nei ranghi di Fdi dopo aver abbandonato la Lega a Bruxelles un anno fa. Di Salvini invece nessuna traccia. Ci saranno per lui Lorenzo Fontana, vicesegretario del Carroccio e responsabile degli Esteri, e in sala l’ex sottosegretario alla Farnesina Guglielmo Picchi. Insomma, se l’invito ufficiale è stato  recapitato, non c’è esattamente una gara a partecipare tra i due leader di partito, reduci da un aperitivo di coalizione con Silvio Berlusconi dopo mesi di gelo seguiti alla partita del Quirinale.

Non è difficile immaginare perché. Presentarsi tirati a lucido a Budapest in questo momento, mentre Orban si erge a capofila del fronte filorusso in Europa e blocca le sanzioni sul petrolio di Mosca, non è il massimo per l’immagine. Tanto più se, a guerra in corso, il Cpac ungherese raduna il meglio del partito putiniano in Europa e in America. Attesissimo, tra gli altri, l’intervento in collegamento di Tucker Carlson, l’anchorman di Fox News che conta milioni di fan e sulla tv di Stato russa è diventato un vero eroe per il suo sostegno gridato all’“operazione speciale” di Vladimir Putin in Ucraina e gli strali contro l’invio di armi a Kiev.

È una creatura strana, questo Cpac in salsa sovranista, e forse per questo la Meloni ha evitato all’ultimo di prendere un aereo. La leader di Fdi è ormai un ospite abituale della kermesse a Orlando, organizzata dalla influente American conservative union, per due edizioni di fila ha perfino parlato in perfetto inglese dal palco, a pochi minuti da Trump. In questi anni ha fatto della connection con l’Elefantino un vanto.

In Ue Meloni presiede il partito dei conservatori, la Lega, con Marco Zanni, il gruppo sovranista di Identità e Democrazia dove milita tra gli altri il Rassemblement National di Marine Le Pen. Due cuori e due capanne: tramontata ormai definitivamente l’idea di un supergruppo europeo, le due famiglie politiche seguono le stesse rette parallele che in Italia rendono distanti, se non incompatibili, i modelli di Lega e Fdi.

Il bassissimo profilo mantenuto dai due partiti sulla kermesse di Budapest dimostra che per entrambi il nodo russo, destinato a venir fuori nella due giorni di dibattiti, è pieno zeppo di spine. Per Orban è invece un’occasione d’oro per strizzare un occhio ai conservatori americani. Non a caso lunedì ha tenuto un roboante discorso pubblico sull’immigrazione e la teoria del “grande rimpiazzo” che Joe Biden in un recente comizio a Buffalo ha definito “una ideologia perversa”.

Anche per il premier magiaro però sarà meglio non danzare troppo sui cocci della guerra russa. Se gli ospiti repubblicani a Budapest sono tutti inclini alla causa del Cremlino, la stragrande maggioranza del Partito repubblicano è schierata con i democratici a favore della resistenza ucraina e pronto a inviare con la legge “Land-Lease” 40 miliardi di forniture umanitarie e militari a Volodymyr Zelensky.


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