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L’espansione nello spazio e lo sfruttamento degli asteroidi

Solo di recente, grazie allo sviluppo di satelliti e telescopi ad alta potenza e definizione, è stato possibile studiare in modo più accurato i pianeti vicini, in particolare quelli in grado di ospitare la vita. L’analisi di Giancarlo Elia Valori

Le scoperte degli esopianeti degli ultimi anni sono state assolutamente straordinarie, e relativamente presto potrebbero essere raggiunti dalla nostra tecnologia. A Cape Canaveral in Florida, il 18 aprile 2018 alle 18:51 viene lanciato il razzo Falcon Nine per mandare in orbita il telescopio spaziale della Nasa Transiting Exoplanet Survey Satellite o TESS. Esso è una sonda che scruta il cielo alla ricerca di pianeti distanti circa 100 anni luce e che orbitano intorno a stelle simile al nostro Sole.

Nel prossimo decennio gli scienziati prevedono che TESS realizzerà la sua missione primaria, ossia scoprire migliaia di esopianeti. Gli esopianeti sono pianeti che si trovano oltre il sistema solare. È un’epoca d’oro per quanto riguarda le scoperte; solo una ventina di anni fa non sapevamo che ci fossero pianeti simili alla Terra nell’Universo e non si riesce a credere a quante altre cose potranno venire a galla a ritmi così elevati. È difficile tenere il passo con le scoperte odierne: al 1° maggio di quest’anno gli esopianeti sono 5.017.

Solo di recente, grazie allo sviluppo di satelliti e telescopi ad alta potenza e definizione, è stato possibile studiare in modo più accurato i pianeti vicini, in particolare quelli in grado di ospitare la vita. In passato l’idea che potessero esistere pianeti simili alla Terra nella galassia non solo era inconcepibile ma era considerata una blasfemia eretica: Giordano Bruno ne sa qualcosa.

Nei primi anni Novanta del sec. XX gli astronomi seppur dotati di telescopi ad alta potenza non erano in grado di rilevare i pianeti lontani. Non è facile vedere un esopianeta: immaginiamo di guardare una lucciola accanto a un riflettore. Il procedimento è estremamente difficile in quanto le stelle brillano di luce propria e i pianeti riflettono la loro luce: in genere una stella è circa 10 miliardi di volte più luminosa di un pianeta, però grazie ai notevoli progressi tecnologici due astronomi – il polacco Aleksander Wolszczan e il canadese Dale Frail – grazie un telescopio terrestre rilevano due pianeti – Poltergeist e Phobetor – nei pressi della stella pulsar B1257+12 anch’essa di nuova scoperta. Diverso il caso di 51 Pegasi b (Bellerophon-Dimidium), individuato spettroscopicamente dagli svizzeri Michel Mayor e Didier Queloz nel 1995, e che orbita attorno a una stella analoga al Sole (51 Pegasi) e di conseguenza è ritenuto il primo esopianeta a tutti gli effetti. L’8 ottobre 2019 gli svizzeri ricevono il Premio Nobel per la fisica.

La ricerca si era intensificata già dieci anni prima, nel 2009, con il lancio di Kepler, il primo telescopio spaziale progettato per rilevare gli esopianeti. Nel 2018 Kepler è stato sostituito dall’ancor più potente e anzidetto TESS. L’aspetto più interessante di TESS è che è stato progettato con lo specifico scopo di individuare gli esopianeti grazie al metodo del transito che rileva la diminuzione di luminosità della luce di una stella dovuta al transito di un pianeta. Il calo di luminosità segnala il corpo in transito e in base alla frequenza si stabilisce l’orbita, ed è un eccellente metodo per trovare nuovi pianeti.

Sebbene la ricerca degli esopianeti fosse inizialmente mirata a stabilire quanti pianeti nella galassia orbitano intorno alle stelle, i risultati sono sconcertanti: la nostra galassia ha circa 400 miliardi di stelle, in base alle recenti scoperte in media ogni stella ospita almeno un pianeta: ciò significa che ci sono almeno 400 miliardi di pianeti nella nostra galassia, la Via Lattea.

La scoperta di un numero così elevato di esopianeti è un cambiamento radicale nella nostra conoscenza dell’Universo, ma ancora più estrema è l’idea che milioni di pianeti potrebbero essere in grado non solo di ospitare altre forme di vita ma anche di generarle. A tal proposito gli astronomi e gli astrofisici stanno cercando pianeti in una regione che chiamano zona abitabile. La zona abitabile è l’area intorno alla stella che consente al pianeta di mantenere l’acqua allo stato liquido. Gli scienziati stanno cercando un pianeta in una posizione ottimale non troppo vicino o lontano dalla stella madre e che disponga di ossigeno e acqua in modo da rendere possibile l’atmosfera e forse persino la vita.

Gli scienziati sono sbalorditi dalla quantità di pianeti scoperti nella zona abitabile che potrebbero ospitare forme di vita: come detto ci sono almeno 400 miliardi di pianeti nella nostra galassia, perciò anche solo l’1% equivale a quattro miliardi di pianeti che potrebbero essere potenzialmente abitabili. La scoperta degli esopianeti ha cambiato radicalmente il nostro modo di concepire l’intero Universo: quasi tutti gli scienziati credono possano esistere altre forme di vita. Nonostante la grande mole di esopianeti abitabili molti scienziati sostengono che al di fuori della Terra potrebbero esistere solo forme di vita microbica o batterica: diffidano di quelle che definiscono teorie inverosimili secondo cui i pianeti potrebbero ospitare forme di vita intelligente più sofisticate ed evolute forse dotate di tecnologie più avanzate delle nostre. Afferma l’astrofisico di origine giapponese Michio Kaku – laureato summa cum laude all’Università di Harvard: “Rifletteteci. L’Universo ha circa 13,8 miliardi di anni, la Terra ha soltanto 4,6 miliardi di anni. Quante civiltà avrebbero potuto sorgere e cadere in questo arco di tempo prima della formazione della Terra?”.

La teoria unita alla pratica della scoperta che la galassia brulichi di pianeti simili alla Terra ha innescato una rivoluzione nella comunità scientifica. Si è della convinzione che gran parte dei pianeti che si trovano nella zona abitabile ospitino forme di vita molto simili alla nostra. Nel deserto di Atacama in Cile nell’agosto 2016, gli astronomi annunciano la scoperta di un pianeta in orbita attorno alla stella più vicina al nostro sistema solare: Proxima Centauri. Il pianeta in questione Proxima B è simile alla Terra ed è abbastanza vicino alla sua stella da poter ospitare la vita. Proxima B è uno degli esopianeti più interessanti e di recente scoperta: esso è circa 1,3 volte più grande della Terra. Gli scienziati ritengono che sia roccioso e che possa essere simile al nostro pianeta. Proxima B può essere abitabile e lo si sta studiando coi telescopi in modo più dettagliato; e nei prossimi dieci anni si potranno ottenere le immagini.

Nonostante l’immensa distanza è in corso un ambizioso programma per studiarlo tramite veicoli spaziali. Il progetto Breakthrough Starshot è nato grazie all’impegno del filantropo russo di cittadinanza israeliana, Jurij Milner, e del famoso e compianto cosmologo Stephen Hawking (1942-2018). Milner: “Per la prima volta nella storia dell’umanità non ci limiteremo solo a osservare le stelle ma potremmo anche raggiungerle”. L’obiettivo di Breakthrough Starshot è inviare piccole sonde grandi pochi centimetri al vicino pianeta. Il microchip verrà munito di una sorta di paracadute sospinto da raggi laser che faranno gonfiare le vele e depositeranno la sonda sulla stella più vicina. Il dispositivo viaggia alla velocità di crociera, ma può accelerare fino al 20% della velocità della luce per fare in modo che raggiunga facilmente le stelle più vicine. Sebbene viaggino a velocità molto elevate, le sonde impiegheranno vent’anni per completare il viaggio.

La luce viaggia a una velocità finita: i raggi solari impiegano circa otto minuti per raggiungere la Terra; molti corpi sono lontani migliaia o milioni o miliardi di anni luce.

Negli ultimi anni sempre più astrofisici hanno ipotizzato che l’umanità potrebbe svelare i misteri dei viaggi spaziali interstellari molto prima di quanto si pensi. Credono che la chiave sia usare una struttura teoricamente possibile nota come wormhole: una curva spazio temporale teorizzata da Albert Einstein che potrebbe rendere i tempi di viaggio interstellari non solo più brevi ma quasi istantanei. Gli wormhole sono capaci di curvare lo spazio e giocherebbero un ruolo chiave nei viaggi spaziali. Sono studiati nell’attuale teoria della gravità e nella relatività generale. Il wormhole è un tunnel che consente di collegare due estremità separate e ripiegate su se stesse: sono comunemente chiamati stargate, perché consentono di spostarsi a distanze considerevoli in tempi inferiori a quelli che impiegherebbe la luce, ma senza superarne la velocità. In teoria i veicoli spaziali in grado di creare wormhole potrebbero viaggiare verso esopianeti distanti in poche ore o in una manciata di secondi, rispettando le leggi einsteiniane.

Monte Palomar, California, 6 ottobre 2013: una supergigante rossa nella costellazione di Pegaso dieci volte più grande del Sole esplode in una colossale supernova: per la prima volta gli scienziati possono assistere alla morte di una supergigante in tempo reale, ma poiché la stella morente si trova a 160 milioni di anni luce dalla Terra gli astronomi hanno assistito a un evento accaduto 160 milioni di anni fa.

Uno dei concetti basilari dell’astronomia è che quasi tutto quello che vediamo è accaduto in passato perché la luce non viaggia in modo istantaneo. La supernova è un’esplosione stellare che spazza via tutti i pianeti che la circondano, anche eventuali civiltà o forme di vita, ma l’intero processo si è verificato in un lontano passato. La violenta morte della stella nella costellazione di Pegaso fornisce una drammatica conferma che l’Universo è un’unità antica e dinamica.

Tra miliardi di anni la nostra stella, il Sole, diventerà una supernova e ormai si avvicina inesorabilmente il giorno in cui dovremmo migrare su un altro pianeta abitabile. Non è da far star tranquilli che l’evento si manifesterà in un futuro lontanissimo, in quanto pensarci oggi salva domani.

Dall’Osservatorio de La Silla, in Cile, nell’agosto 2011 gli astronomi annunciano la scoperta di un grande pianeta simile alla Terra nella costellazione di Orione: il pianeta si trova nella zona abitabile e la stella attorno a cui orbita e molto simile alla nostra rendendolo quindi idoneo per ospitare la vita. Per cui l’obiettivo di noi terrestri è scoprire un sistema solare stabile, come quello in cui è la Terra.

Però prima di poter sviluppare la pratica dalla teoria è necessario disporre di risorse specifiche. A Los Angeles nel giugno 2019 la TransAstra Corporation annuncia una partenariato con la NASA per il lancio di un nuovo progetto nello spazio: l’estrazione mineraria da asteroidi. TransAstra Corporation è stata fondata nel 2015, il periodo in cui l’imprenditore Elon Musk con SpaceX, il fondatore di Amazon, Jeff Bezos con Blue Origin, e altri stavano ideando metodi economici ed efficaci per recarsi nello spazio. Disponendo di missili capaci di andare in orbita a buon mercato, si potrebbe creare un business nello spazio come quello per l’estrazione sugli asteroidi di metalli preziosi di grande valore sulla Terra. Si definiscono metalli preziosi perché stanno diventando scarsi sulla Terra; perciò dove possiamo trovare degli asteroidi?

Metalli come le terre rare, oro, rame, zinco, platino sono stati estratti sulla Terra per migliaia di anni e sono vitali per la civiltà, ma le loro scorte sono limitate in parte perché non provengono dal nostro pianeta. In origine la Terra era una massa allo stato fuso: molti metalli preziosi erano attratti verso l’interno: per via di questo processo gli elementi pesanti sono sprofondati al centro della Terra; nel raffreddamento si è formata una crosta costituita dai materiali leggeri.

È ampiamente risaputo che senza l’uso dei metalli la tecnologia e la civiltà non sarebbero esistite. Per nostra fortuna si stima che circa 3,8 miliardi di anni fa trilioni di asteroidi si siano schiantati sulla Terra depositando uno strato di metalli pesanti sulla crosta terrestre. Questi materiali non provengono dalla Terra, essi si sono depositati sul nostro pianeta grazie a comete e asteroidi fracassatisi sulla Terra moltissimo tempo addietro. Tutti i metalli preziosi che estraiamo sulla Terra provengono da corpi celesti. Il bombardamento di asteroidi ha depositato metalli che hanno reso possibile l’Età del Bronzo, l’Età del Ferro e l’odierna civiltà tecnologica, ma tanti metalli – compresi gli elementi delle terre rare necessari per la tecnologia – sono sempre più introvabili. Per questo motivo molti scienziati ed esperti ritengono che la cintura asteroidale possa tornarci utile. Un asteroide anche se di dimensioni ridotte possiede più terre rare di quante siano state estratte sulla Terra nella storia dell’umanità: si stima che si avvenissero estrazioni anche solo da dieci degli oltre seimila asteroidi – la cui esistenza è registrata nel database della Nasa – essi produrrebbero risorse equivalenti a 1,5 trilioni di dollari. La cintura asteroidale potrebbe provvedere ai bisogni della nostra civiltà per migliaia di anni e secoli avvenire.

La scelta più sensata è costruire veicoli spaziali per trovare gli asteroidi, estrarre materiale e ricavarne ogni beneficio.
Mountain View, California aprile 2013: gli scienziati del centro di ricerca Ames della NASA scoprono grazie al telescopio spaziale Kepler due nuovi esopianeti potenzialmente abitabili Kepler 62E e 62F: essi sono definiti mondi acquatici perché ricoperti da un oceano globale e onnicomprensivo, i pianeti 62E e 62F sono promettenti perché si trovano nella zona abitabile e sono ricoperti dall’oceano.

Questo significa che in una fase di espansione e migrazione spaziale, non sono soltanto necessarie le materie prime, ma anche l’acqua che una volta scomposta in idrogeno e ossigeno, potrebbe essere utilizzata come carburante con quei processi che sono all’avanguardia e che ho analizzato in alcuni miei precedenti contributi.

Si è fermamente convinti e si ritiene che la ricerca di forme di vita subirà ulteriormente e molto presto una rivoluzione. Il 25 dicembre 2021 la Nasa ha lanciato il James Webb: un telescopio spaziale per l’astronomia a raggi infrarossi, capace di analisi ritenute impossibili sino a pochissimi anni fa: scattare immagini dettagliate e a colori di un esopianeta. Il telescopio James Webb è completamente diverso da quelli presenti nello spazio, esso dà la possibilità di osservare la luce riflessa degli esopianeti e lo spettro elettromagnetico per poter individuare potenziali tracce biologiche.

Il futuro è nella ricerca, il passato nella guerra. La certezza: tante tombe se si resta immobili.



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