Le Considerazioni del governatore della Banca d’Italia forniscono un notevole appoggio all’azione governativa, benché la loro utilità avrebbe guadagnato dal prospettare soluzioni ai non pochi problemi che quest’azione incontra sul campo. L’analisi di Salvatore Zecchini
Dagli anni Sessanta fino all’ingresso nell’Unione Monetaria Europea l’appuntamento annuale con le Considerazioni del governatore della Banca d’Italia ha rappresentato un importante evento mediatico per guardare in controluce lo stato dell’economia e la bontà delle politiche governative.
Vi si trovavano analisi delle debolezze del sistema economico, proposte e raccomandazioni, il tutto in un linguaggio felpato e minuziosamente calibrato. Negli ultimi venti anni l’importanza dell’evento è andata scemando sia per l’emergere di diverse altre analisi rilevanti ed approfondite, in specie, il Documento di Economia e Finanza del Mef e il Rapporto e le Raccomandazioni della Commissione Europea, sia per i molti incontri a livelli di ministri e capi di governo, in cui si definiscono indirizzi e misure di politica economica, nonché per le altre occasioni in cui si chiarisce al pubblico l’azione della Banca centrale europea e di quella italiana.
Non apparirebbe, d’altronde, probabile che nella Relazione annuale si sviluppasse una dialettica o differenziazione di giudizi fra tre figure provenienti dalla stessa banca e dalla medesima cordata, che occupano le posizioni di premier, ministro dell’Economia e governatore.
Le ultime Considerazioni presentate dal Governatore non sfuggono a questa tendenza verso il “non evento”, benché rimangano rilevanti ed interessanti perché poggiano su una corposa disamina scevra da particolari interessi e fissano l’attenzione sui capisaldi di un programma che possa dare nuovo slancio alla crescita economica. In un quadro ancora una volta segnato da uno shock imprevisto, ovvero la guerra in Ucraina, non si poteva che dare risalto al tema delle sue conseguenze per l’evoluzione ciclica dell’economia e per i mutamenti che induce nel suo assetto nel medio termine.
L’effetto più dirompente è colto nell’impennata dell’inflazione, fortemente concentrata sui beni energetici e commodities, ma con ripercussioni anche sugli altri prodotti. Nel mese di maggio appena trascorso i prezzi al consumo nell’eurozona hanno continuato la loro ascesa (8,1%) su base annua, ma anche quelli al netto di energia ed alimentari sono saliti del 3,5%, un ritmo che va molto oltre l’obiettivo della Bce del 2% nel medio termine e segnala che le tensioni si stanno propagando all’intero sistema dei prezzi.
Su questo punto le Considerazioni argomentano in maniera discordante: premesso che una straordinaria incertezza grava sulle previsioni, anche quelle ufficiali, si richiamano le aspettative degli operatori e dei mercati di una rapida discesa dell’inflazione al 2% nel corso dell’anno prossimo. L’erosione del potere d’acquisto dovrebbe raffreddare rapidamente le pressioni da domanda. Si sottolinea anche che la politica monetaria non può contrastare le spinte sui prezzi provenienti dai mercati mondiali, rialzi che equivalgono a una tassa su tutto il Paese, ma può agire per la stabilità nel medio periodo. In questa prospettiva, si limita ad affermare che nel breve termine non ci sono ostacoli all’abbandono della politica dei tassi ufficiali negativi, ma non si affronta il rischio per la stabilità di medio periodo di rincorse tra prezzi e salari, pur mostrandosi consapevole che in alcuni paesi europei le richieste di recupero dei salari sono elevate.
Questa assenza di presa di posizione appare sorprendente, particolarmente perché si riconosce che prevenire simili rincorse è compito della politica monetaria. Si richiama, piuttosto, la possibilità di misure ben calibrate di politica di bilancio che aiutino a spegnere i focolai di inflazione. È un contrappunto di argomentazioni troppo intricato, in cui alla fine la Banca si pronuncia per la gradualità di interventi in senso restrittivo ed accetta che per qualche tempo che l’inflazione si mantenga molto oltre l’obiettivo. Questo atteggiamento, giustificabile per un paese come l’Italia con un gran bisogno di crescere e una finanza pubblica ai limiti della sostenibilità, sarebbe accettabile o no nell’Europa continentale in una fase in cui l’inflazione in Germania tocca il 7,9% e le richieste salariali sono consistenti? Si vedrà…
Gradualità di aggiustamento e continuo sostegno comunitario sono propugnati anche nella politica di risanamento della finanza pubblica italiana. L’attuazione del Pnrr e le riforme del Patto di Stabilità e del bilancio comunitario sono due cardini su cui si ritiene possibile il rientro del debito pubblico verso posizioni di minore fragilità, senza danneggiare le possibilità di crescita. In particolare, si sostiene l’opportunità di un bilancio comunitario di portata tale da condurre operazioni di stabilizzazione macroeconomica e per finanziare la fornitura di beni pubblici comunitari. In alternativa, si propone la costituzione di uno stabile strumento di intervento rapido su singole situazioni di crisi, in analogia al Pnrr, finanziato con debito comunitario e coperto da risorse “proprie” dell’Unione non meglio specificate. Si auspicano percorsi di rientro dal debito eccessivo concordati per ciascun paese con la Commissione, un trasferimento su un apposito fondo europeo dei debiti contratti per la pandemia e regole più semplici e trasparenti per rinnovare il Patto di Stabilità.
Si tratta di iniziative su cui si dibatte da due e più anni e che servono ad andare incontro ai fabbisogni dell’Italia e di altri paesi fortemente indebitati. Manca, invece, una visione d’insieme sulle esigenze comuni a tutti i Paesi membri, su quale tipo di comunità è possibile costruire per rispondere agli interessi di tutti e su come responsabilizzare ciascuno a superare le proprie criticità senza riversarne le conseguenze sugli altri. Un messaggio di particolare peso è, nondimeno, inviato al governo laddove si afferma che, considerato l’elevato debito pubblico e la volatilità dei mercati finanziari, è necessario che non si ricorra all’indebitamento per finanziare nuovi programmi (si intenda: elargizioni del tipo visto nell’ultimo biennio), ma che si mantengano consistenti avanzi primari di bilancio e che si acceleri la crescita.
Sono importanti, anche se brevi, i richiami alla necessità di efficaci riforme che modifichino l’ambiente in cui svolgere le attività economiche e che vadano oltre quelle su cui si è preso impegno nel Pnrr. La riforma della tassazione dovrebbe avere carattere di organicità piuttosto che di episodicità. Sulla riforma della concorrenza andava spesa qualche parola in più, in considerazione delle difficoltà ad avanzare e al rischio di modifiche superficiali che non intaccano le posizioni di rendita. Analogamente, non si insiste sulla riforma dei servizi pubblici locali, malgrado le loro inefficienze incidano pesantemente sulla competitività delle imprese.
Un’enfasi particolare è posta nel potenziamento quantitativo e qualitativo dell’istruzione, degli studi tecnico-scientifici e nella formazione dei docenti. La inadeguatezza dei programmi scolastici e dell’orientamento degli studenti, invece, non viene messa in evidenza.
Molta fiducia è riposta nei programmi di digitalizzazione della Pubblica amministrazione, nella riorganizzazione dei servizi giudiziari, nella semplificazione amministrativa, e nei benefici della transizione verde. L’atteggiamento acritico verso questi interventi non dovrebbe far dimenticare che l’attuazione dei progetti del Pnrr si sta rivelando particolarmente difficile, soprattutto a livello di autorità decentrate. Molte di queste mancano di adeguate capacità progettuali e di esecuzione degli interventi, ad esempio per infrastrutture e servizi pubblici, quali i nidi per l’infanzia, considerato che le risorse rese disponibili non vengono impiegate e che i progetti avviati, soprattutto nel Mezzogiorno, avanzano faticosamente tra ritardi ed impedimenti. Nel campo della giustizia, l’efficientamento degli uffici giudiziari non assicura lo snellimento dei processi se non vengono semplificate le procedure e responsabilizzati gli organi giudicanti, aspetti che non sono stati ancora affrontati. La digitalizzazione della Pa andrebbe accompagnata da una vasta opera di addestramento del personale. La transizione verde implica costi aggiuntivi per imprese e famiglie, che possono contribuire al rialzo dei prezzi.
La trattazione del tema della solidità del sistema bancario e delle istituzioni finanziarie è improntata a grande cautela in vista delle incertezze e dei rischi derivanti dal deterioramento della congiuntura economica e dal rialzo dei tassi d’interesse, che la svolta verso la restrizione monetaria comporta. Si riconoscono il rafforzamento della base di capitale delle banche (il CET1), la riduzione dei crediti deteriorati, al netto degli accantonamenti, al livello dell’1,7%, che è inferiore a quello pre-pandemia, e il recupero della redditività del capitale bancario, pur rimanendo relativamente bassa. Ma non si tace sui nuovi rischi derivanti dal peggioramento delle condizioni finanziarie delle imprese e dall’esposizione verso i paesi coinvolti nella guerra nell’Est-Europeo. L’esposizione creditizia verso imprese particolarmente colpite dai rincari dell’energia e dagli effetti delle sanzioni può avere un impatto rilevante sulle banche di taglia media e piccola, che non riescono a contenere i costi e potenziare la loro gestione attraverso le nuove tecnologie.
Più positivo il giudizio sugli intermediari finanziari non bancari, la cui importanza nell’intermediazione ed allocazione del risparmio si è rafforzata ed ha beneficiato di un’estesa applicazione delle tecnologie digitali. Il loro ruolo nel finanziamento delle imprese nazionali, particolarmente di quelle innovative, potrebbe divenire più consistente se il sistema delle imprese si aprisse maggiormente al capitale esterno e se le loro dimensioni divenissero più consistenti. La quota di risorse investite nelle Pmi risulta molto contenuta e inferiore a quella nei maggiori paesi partner. Per la stabilità di queste istituzioni si raccomanda di migliorare le competenze dei gestori dei fondi e di dotarsi di strutture di governance adeguate.
Alla digitalizzazione dei servizi finanziari e di pagamento la Banca centrale dà un notevole incoraggiamento in quanto la loro applicazione, come quella dei registri distribuiti (Dlt), può migliorare la qualità dei servizi offerti ed avvantaggiare gli utenti. Non si vede nessuna concorrenza dannosa nei nuovi sistemi di pagamento contactless, ma si mettono in guardia gli utenti nei confronti dei rischi connessi alle criptoattività. È molto importante che nelle Considerazioni si getta luce sulle differenze tra criptovalute, si specifichi quali rischi si incontrano nelle stable coins e si appoggi la proposta di regolamentazione dei mercati avanzata dalla Commissione Europea.
La Banca centrale si dimostra, pertanto, aperta alle innovazioni tecnologiche, ma essendo un presidio di stabilità monetaria e finanziaria, soppesa attentamente vantaggi e rischi prima di pronunciarsi. Verso la finanza decentrata il suo atteggiamento è di apertura alla sperimentazione e al tempo stesso a favore della definizione di standard e prassi applicabili a tutti gli intermediari per la trasparenza ed affidabilità delle operazioni. Altrettanto significativo è l’atteggiamento favorevole verso il progetto di emissione di un euro digitale per soddisfare l’evolvere delle esigenze degli operatori economici.
Nel complesso, le Considerazioni forniscono un notevole appoggio all’azione governativa, benché la loro utilità avrebbe guadagnato dal prospettare soluzioni ai non pochi problemi che quest’azione incontra sul campo.