Lettera aperta alla Repubblica italiana dal professore di Scienza Politica e accademico dei Lincei Gianfranco Pasquino. “Molti di questi giorni, cara Repubblica, la tua vita è la garanzia della ricerca e della possibilità di una vita migliore per tutti, soprattutto per noi, repubblicani convinti, coerenti e partecipanti”
Alla memoria di Valerio Onida e Carlo Smuraglia
Cara Repubblica,
ti scrivo e, poiché si leva già alto il rumore degli ipocriti, più forte ti scriverò. Celebrano il tuo compleanno coloro che hanno variamente (e vanamente) tentato due operazioni. La prima, plateale, è quella di cambiarti, anche a colpi di referendum, di aggiornarti senza sapere come e senza confrontarti con le altre Repubbliche. So che ne saresti stata lieta poiché il paragone rivela che sei elegante, efficace, estroversa, elastica. Coloro Sono miserevolmente caduti sotto una pesante cappa di ignoranza e di arroganza. Tuttavia, rimangono tanti, si spalleggiano, sono ripetitivi, pericolosi per sé e, mal gliene incolga, per gli altri. La seconda è un’operazione, subdola, condotta più o meno consapevolmente e non sufficientemente contrastata.
La Repubblica, dicono gli ignor/arroganti e gli egoisti, sono gli altri. Un po’ come l’inferno secondo Sartre. Se la Repubblica funziona male, non è colpa dei cittadini, certamente non di loro. Sono i politici; sono i parlamentari; sono, soprattutto, i governanti a essere tremendamente colpevoli. Non sanno il loro mestiere (ma chi li ha votati quelli che “io non ho mai fatto politica”), quando le ottengono stanno appiccicati alle poltrone in attesa della pensione. Non sono mai loro, i cittadini, quelli che partecipano saltuariamente (il voto, art. 48, “è dovere civico”), quelli che tutto è un loro diritto, nulla o quasi un loro dovere, quelli che, se è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale [che] impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, art. 3, ritengono che debbano essere gli altri a impegnarsi. Non si informano, ma twittano. Non vanno alle urne, ma sono attivissimi sui social. Non sanno di cosa parlano, ma applaudono gli influencer delle loro fazioni e insultano i followers delle altre fazioni.
Hanno quello che si meritano, ma la colpa la danno a te, cara Repubblica. Non riescono a distinguere, già lo imparavano poco, ma sono decenni che nessuno glielo insegna più, fra le regole, le istituzioni, i comportamenti. Sono diventati (quasi) tutti kennediani alla rovescia. Non si chiedono cosa possono e debbono fare per te, cara Res Publica, ma cosa tu dovresti fare per loro, talvolta assenteisti, talvolta evasori, talvolta corrotti e corruttori, talvolta rassegnati (i meno peggio che non vuol dire “buoni”). Domani tutti giornali riporteranno ampi elogi a te, forse chiamandoti Prima Repubblica, implicitamente dandoti per superata e comunque superabile, non avendo colto il fatto importantissimo che, hai attraversato le molte vicende italiane a testa alta solo un po’ scossa dai tanto inadeguati quanto saccenti (e viceversa) riformatori elettorali. Non ti curar di loro, ma guarda e passa. Ho imparato da Piero Calamandrei che sei una rivoluzione promessa in cambio di una rivoluzione mancata. Sempre da Calamandrei ho saputo che sei “presbite”. Continua a guardare avanti, tieni lo sguardo sull’Europa.
Molti di questi giorni, cara Repubblica, la tua vita è la garanzia della ricerca e della possibilità di una vita migliore per tutti, soprattutto per noi, repubblicani convinti, coerenti e partecipanti.