L’autore di “Gauche caviar. Come salvare il socialismo con l’ironia”, scritto a quattro mani con Bobo Craxi: “Noi siamo per la nobiltà politica, culturale ed esistenziale. Sosteniamo la necessità che rimanga intatta la bandiera rossa, ma affiancata a un quarto principio: uguaglianza, fratellanza, libertà e ironia”
L’hanno composto così, quasi per caso. O meglio nell’attesa di aprire un chiringuito ad Hammamet. La genesi di “Gauche caviar. Come salvare il socialismo con l’ironia” (edito da Baldini+Castoldi) è lontana. E in qualche modo ha origini romagnole. Fu allora che, a un congresso di giovani socialisti, i due autori di questo spassoso e raffinato pamphlet – Bobo Craxi e Fulvio Abbate – si incontrarono sul serio e instaurarono un rapporto epistolare destinato ad approdare, anni dopo, nelle librerie.
“Gauche Caviar afferma un’attitudine fortemente individualistica presente in me: ossia rispondere solo a me stesso – spiega Abbate – . Sono uno stronzo da solo, non per conto terzi”. Per Bobo, invece “è una ritrovata ironia dopo tutte le traversie della Caduta”. Lo scrittore siciliano identifica nell’ironia l’unico antidoto contro l’idea che “il potere sia qualcosa di erotizzante”. E già questi pochi elementi basterebbero per accaparrarsi il volume correndo a qualche scaffale. Ma oltre al contenuto, come accennavamo, è singolare la genesi dell’opera. “Io e Bobo – racconta Abbate – ci siamo trovati a duettare, per puro dandismo, sul mio canale in rete. Come fossimo Marx ed Engels, oppure Simon & Garfunkel. Poi, abbiamo pensato che sarebbe stato il caso di scrivere qualcosa”. In un certo senso questo libro prende le mosse da un volume scritto diverso tempo proprio da Abbate, sul conformismo della sinistra.
C’è una cosa, che accomuna i due autori. “Sia io che Bobo possiamo guardare le cose che accadono da una prospettiva disincantata. Siamo due persone libere”. Dunque, in attesa delle pratiche burocratiche per avviare l’attività nella terra in cui riposa Bettino Craxi “abbiamo messo su carta parte delle nostre storie”. Dal punto di vista contenutistico, riprende Abbate, “il mio è un contributo che contempla molte cose: l’affermazione di un’attitudine fortemente individuale, la rivendicazione del proprio narcisismo, della propria cultura”. Oltre a una presa di distanza dalla propria matrice politica: quella comunista. “Ho smesso di sentirmi tale – rivela lo scrittore – il 1 maggio del 1972”.
In un capitolo piuttosto interessante, e ragionevolmente ai più inedito, Abbate parla del vecchio leader socialista sviscerandone la parte artistica. Perché “Bettino fu grande artista, a metà fra il dadaismo e la pop art”. Anche in questo caso, l’approccio è originale. D’altra parte il libro rappresenta il punto di vista di “due persone colte che si possono concedere il sarcasmo”. Ossia ciò che “attualmente manca alla politica”. Non mancano anche le parti di invettive, oltre che accenni ai radical chic. “Noi siamo ben oltre il radical chic – rivendica Abbate – . Noi siamo per la nobiltà politica, culturale ed esistenziale”. La rivendicazione dell’opera, in definitiva, sostiene la necessità che “rimanga intatta la bandiera rossa, ma affiancata a un quarto principio: uguaglianza, fratellanza, libertà e ironia”.