Parlare con i russi, anche quelli cattivi, è giusto? Sì, se vogliamo la pace ci toccherà anche questo. Presentare i propagandisti di Mosca come esseri pensanti è giusto? No, pensare non è nel loro contratto di servizio. Il commento di Roberto Arditti
Sulla trasmissione di Massimo Giletti di ieri sera c’è dibattito ed è giusto così, perché questo fa la differenza tra come vanno le cose da noi e come vanno altrove (in Russia, tanto per fare un esempio). Molte sono le voci critiche, come quella di Sofia Ventura (sempre interessante da leggere) su Huffington Post. Provo allora a fare il mio bilancio della puntata, che è minimamente complesso (ma cercherò di non farla troppo complicata).
Punto primo: ha avuto senso andare a Mosca per fare questa trasmissione? Più no che sì in verità, perché iniziare con una lunga intervista a Massimo Cacciari collegato dall’Italia e poi avere il pezzo forte con ospite in collegamento web (l’ormai celebre portavoce del ministero degli Esteri russo Marija Zakharova) rende assai poco “visibile” la ragione per essere fisicamente in Russia, anche se poi qualcosa si recupera con i due ospiti successivi (quello russo in particolare già ampiamente visto). Insomma Giletti è stato bravo a creare un caso intorno ad una puntata da Mosca, ma la puntata medesima fatta da Roma sarebbe venuta precisa identica.
Punto secondo: la trasmissione è risultata uno strumento di pura propaganda in favore delle tesi russe? Io non direi, perché il pubblico è capace di giudicare e non sono affatto convinto che il modo di fare e gli argomenti usati dagli ospiti amici di Putin generi automaticamente consenso, poiché nel loro modo di discutere è ben evidente la volontà assoluta ed irriducibile di uniformarsi alla ragioni (vere o presunte) della propria parte, atteggiamento poco adatto per mietere consensi dalle nostre parti.
C’è poi un tema sul calibro degli ospiti per i quali vale la pena andare a Mosca per fare una trasmissione, sul trattamento che essi ricevono e sullo spazio loro dedicato. Qui Giletti mi è piaciuto assai meno, per ragioni che provo ad elencare. In primo luogo ho visto 45 minuti di intervista alla portavoce del ministro degli Esteri, trattata come se fosse la titolare della politica estera russa.
Ma le cose non stanno così: quello spazio avrebbe un senso se fosse stato Lavrov l’intervistato. Mentre invece accontentarsi della portavoce “ elevandola” a protagonista delle decisioni su materie tanto tragiche quanto delicate fa un cattivo servizio alla qualità del dibattito ed anche alla sua corrispondenza con il vero, perché a tutti gli addetti ai lavori è nota la distanza siderale in termini di ruolo effettivo che passa tra un ministro e il suo portavoce.
Inoltre verso questa portavoce si è cercata una continua interlocuzione alla ricerca di un terreno di comune accordo, per quanto piccolo. Ed anche qui Giletti ha sbagliato, perché ha provato ad ignorare (e ne ha subito le conseguenze) un fatto ben noto a tutti coloro che hanno mai maneggiato interviste di questo tipo: i portavoce di governi non democratici non sono mai disponibili ad alcuna concessione fosse anche soltanto verbale, per il semplice fatto che il loro “contratto di servizio” non lo prevede.
Quindi se devi intervistare un portavoce (ma sarebbe meglio evitare, andando dal capo vero) devi limitarti a domande secche, registrando le sue posizioni prendendole così come ti arrivano, senza cercare di fartelo amico. Non so se Giletti ha peccato di ingenuità, quel che è certo però è che la Zakharova a un certo punto gli ha dato del bambino: punto a capo.
C’è poi un tema più generale sui talk show, oggetto di molte critiche spesso un po’ qualunquiste. Certo che si concede molto allo share, ma non è nemmeno vero che non esiste altro Dio all’infuori di quello. Massimo Giletti sta dentro un flusso collettivo in cui cerca di muoversi applicandosi ad un genere non facile, quello della puntata settimanale. A volte gli riesce con grande efficacia (penso a puntate su vicende di mafia) a volte ne esce un po’ ammaccato, come nel caso di ieri sera. Non credo alla sua volontà di mettersi al servizio delle tesi filo-Putin, credo di più alla voglia di distinguersi sempre e comunque.
In ogni caso la pace la dovremo fare con i russi e non potremmo scegliere quelli buoni o quelli che ci sono simpatici. Anzi la dovremo proprio fare con quelli cattivi. Tanto vale iniziare ad averci a che fare.