Come avrebbe detto Luigi Sturzo, l’Atlantismo è la nostra anima politica, la Nato è la nostra sicurezza militare, l’Europa occidentale è la nostra casa naturale. Pertanto, davanti a questa assurda guerra di Putin contro l’essenza stessa della civiltà occidentale, sostenere posizioni filosovietiche, antiamericane e antieuropee è e resta un errore. Il commento di Benedetto Ippolito
Superati ormai i cento giorni di guerra tra Russia e Ucraina, è giunto il tempo di fare alcune valutazioni sulla centralità che inevitabilmente ha assunto la politica estera in questa nuova fase.
Al di là, infatti, della durata che questo conflitto aperto avrà nel prossimo futuro, è sicuro che il nuovo bilanciamento di forze tra Est ed Ovest farà durare a lungo il capitolo inedito di guerra fredda che si è purtroppo dischiuso. Per semplificare, si può dire che se pure verrà scongiurata la terza guerra mondiale è tuttavia certo che si sia accesa una seconda guerra fredda, inchiodata alla polarità di Mosca e Washington, un dualismo che dominerà almeno tutto il prossimo decennio di storia europea.
Un primo punto da sottolineare è di straordinaria importanza. Si tratta della nostra ferma, irreversibile ed assoluta adesione alla Nato e all’alleanza atlantica. È curioso, anche se a dire il vero non originale, che nel Paese in modo più o meno esplicito vi sia una consistente contestazione della nostra collocazione geopolitica. Forse dimentichiamo quanta forza abbia avuto l’anti atlantismo nel secolo scorso, grazie alla propaganda antiamericana e filocomunista, spesso espressa sotto la coltre di un’apparente neutralità retorica di autonomia e progresso.
Anche per quanto concerne il giornalismo, del quale stiamo assistendo talora ad un subdolo asservimento alla propaganda pro-Putin, o comunque ad una narrazione poco convenzionale delle vicende in atto, oggi riemerge un’antica logica che si alimenta con perduranti influenze economiche che dall’Est attraversano i confini e finiscono per trovare eco in convinzioni antiamericane, antioccidentali e perfino antitaliane.
Su questo tema bisogna essere chiari, anzi chiarissimi. Il primo dovere di uno Stato è salvaguardare l’interesse nazionale. E il primo dovere dell’Italia si pone in sostanziale coincidenza, prima ancora che con l’Europa, con la politica americana. Non c’è neanche bisogno di richiamare il Piano Marshall, costruito come strategia economica post-bellica di libertà per noi dagli Stati Uniti: è sufficiente pensare umilmente alla nostra dimensione economica e militare per capire subito che l’Italia, più di tutte le altre nazioni del continente, ha la propria sicurezza e libertà intrinsecamente collegata con Washington. Non si tratta di un vincolo subìto e imposto, ma di un fattore positivo congiunto naturalmente alla nostra realtà, un nesso che oltrepassa le amministrazioni loro e nostre, e si radica nell’essenza democratica dei due popoli e delle due società.
È chiaro che questa guerra aggressiva del Cremlino, espressa con la logica dell’antica armata rossa, ai danni della sovranità ucraina non può che confermare la minaccia antioccidentale che per decenni abbiamo vissuto come incubo e che oggi sarebbe ancora più pericolosa se non percepissimo e non potessimo arginare, beneficiando degli accordi internazionali che abbiamo creato allora, di cui siamo eredi oggi e di cui saremo fieri ed orgogliosi anche domani, dando tributo così all’intelligenza lungimirante di Alcide De Gasperi e dei suoi successori.
Ma vi è un secondo punto addirittura più importante del precedente. Le nuove generazioni possono capire un fenomeno che, se non è stato vissuto, potrebbe essere iniquamente sottovalutato. A rendere pericoloso il comunismo da noi non erano i comunisti italiani, politici spesso dotati di qualità e capacità, ma la dipendenza dal potere sovietico che avevano il PCI e molti strati della società italiana. E, nell’odierna frammentazione tipica del caos postmoderno, oggi quel proselitismo passa attraverso i pezzi frantumati della nostra comunità, i riemergenti ammiccamenti di politici di avventura o il presunto ruolo antagonista che alcuni intellettuali cercano nuovamente di darsi, nonostante tale linea interpretativa sia da tutti giudicata erronea e falsa.
La strategia giusta della politica italiana fu, durante la prima guerra fredda, garantire e tutelare la solida collocazione europeista ed atlantica del nostro Stato. Ciò è stato possibile grazia alla Democrazia cristiana e agli altri partiti dell’area democratica, a prezzo di un conto personale ed umano molto salato. Oggi quella coerenza è affidata unicamente ai cittadini comuni, i quali devono sentire e comprendere da soli il senso della propria italianità e il valore che ha stare e rimanere in modo granitico ancorati saldamente al proprio stile di vita, alla propria mentalità, al proprio senso di libertà individuale, sociale ed economica, fuori dal quale c’è solo la dittatura e la violenza.
Sentire e leggere, magari spacciandolo per pacifismo, che il nostro Paese non dovrebbe adempiere ai doveri militari, che non dovrebbe fidarsi di una presidenza americana debole, com’è giudicata quella di Biden, o perfino che siano gli States a volere la guerra della Russia contro l’Europa, è insensato e mostra apertamente una puerile superficialità, nonché una sostanziale perdita di senso politico e storico, purtroppo in perenne inflazione. In taluni casi, quando si ha a che fare con espressioni altisonanti di tenore antioccidentale, spacciate magari per alta cultura, si ha addirittura il sospetto che vi sia una manifesta malafede di fondo, pericolosa e dannosa per il bene comune.
Indiscutibilmente l’Italia è a favore della pace; sicuramente le sanzioni che stiamo applicando alla Russia sono un danno per la nostra fragile economia; senza dubbio dobbiamo operare con sovrana dignità e autonomia nel consesso delle nostre alleanze euro atlantiche. Ma, ciascuno nel proprio ambito, dobbiamo tutti cercare di non essere sciocchi e di non abusare dell’intelligenza di cui disponiamo, trasformandola in volano di insensatezza collettiva.
Come avrebbe detto Luigi Sturzo, l’Atlantismo è la nostra anima politica, la Nato è la nostra sicurezza militare, l’Europa occidentale è la nostra casa naturale. Pertanto, davanti a questa assurda guerra di Putin contro l’essenza stessa della civiltà occidentale, sostenere posizioni filosovietiche, antiamericane e antieuropee è e resta un errore, più o meno interessato e più o meno malcelato, ma comunque un errore privo di senso.
Intendiamoci: ognuno è libero di dire ciò che vuole, sia in tempo di pace e sia in tempo di guerra. Ma la responsabilità di ciascuno, inseparabile dalla relativa libertà, è molto più elevata in tempo di guerra che in tempo di pace. Diffondere diffidenza verso gli alleati politici e militari, in nome di un non richiesto protagonismo, accompagnandola magari alla parvente retorica del pacifismo, si svela in definitiva come una follia al cui proselitismo sarebbe bene non dare credito almeno nella nostra coscienza personale.