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Bonomi, il patto sociale e l’esigenza di una vera politica attiva del lavoro

Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha rilanciato il “patto sociale” accompagnato da una seria politica dei redditi tesa, fra l’altro, a fronteggiare gli effetti dell’inflazione sulla remunerazione dei lavoratori dipendenti. Il commento di Luigi Tivelli

In una interessante intervista a Federico Fubini per il Corriere della Sera dell’8 giugno, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, come per certi versi anticipato nel suo discorso dei giorni scorsi al festival di Trento (ripreso anche da qualche giornale) fissa dei paletti significativi su alcuni aspetti rilevanti della politica economica e sociale. Quanto al tormentone in atto sul salario minimo, Bonomi presenta una posizione molto chiara ed equilibrata: esso può andar bene per i lavoratori più fragili, ma per il resto nel nostro Paese è meglio demandare il problema alla contrattazione collettiva che copre una gamma davvero molto vasta di lavoratori.

Il presidente di Confindustria rilancia poi la questione del cuneo fiscale in termini molto chiari, chiedendo con forza una riduzione per buona parte nell’interesse dei lavoratori e per la parte restante nell’interesse delle imprese, anche al fine che i lavoratori dispongano di retribuzioni nette finalmente un po’ meno lontane da quelle lorde. Ma l’aspetto più interessante dell’intervista è il rilancio del “patto sociale” accompagnato da una seria politica dei redditi tesa, fra l’altro, a fronteggiare gli effetti dell’inflazione sulla remunerazione dei lavoratori dipendenti.

Lo stesso Bonomi circa otto mesi e mezzo fa, all’assemblea di Confindustria aveva lanciato un grande patto sociale per l’Italia subito sottoscritto e rilanciato anche dal presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso della stessa assemblea. Poi, come avviene spesso in questo Paese, tutto è sfumato specie per ostacoli posti da alcune delle forze sindacali e perché è sostanzialmente venuto meno quel metodo della tavola verde di Palazzo Chigi per affrontare assieme, governo e parti sociali, le grandi questioni e sociali. E anche perché, secondo il presidente Bonomi, il ministro del lavoro Orlando non ha fatto il minimo passo in questo senso.

In questo Paese sempre più senza memoria storica va ricordato che il primo a lanciare una sorta di patto sociale e la politica dei redditi fu Ugo La Malfa nel governo Fanfani preparatorio del centrosinistra del 62, con un documento fondamentale che è ancora di grande attualità come la Nota aggiuntiva. Una trentina di anni dopo, nel 1993, fu Carlo Azeglio Ciampi col suo governo ad avviare una forma di patto sociale che ebbe effetti significativi. Eppure, soprattutto per le condizioni economiche e sociali in atto, soprattutto per il rischio del mostro dell’inflazione, al quale si può accoppiare nei prossimi anni il mostro della recessione, con il rinnovo di una condizione di stagflazione come quella che ci fu negli anni Ottanta, avremmo un grande bisogno di un vero patto sociale per l’Italia: una questione che sarebbe il caso che rientrasse nell’agenda del premier Draghi.

Accanto a questa, abbiamo bisogno di un’altra sorta di “milite ignoto” della politica economica e sociale, cioè una vera e seria politica attiva del lavoro: un tema che il ministro del lavoro Orlando continua ad aggirare ed evitare. Solo una vera politica attiva del lavoro accoppiata al patto sociale può rispondere alle gravi questioni aperte del mondo del lavoro, favorendo un incontro fra la domanda e l’offerta del lavoro, rispondendo al paradosso per cui a fronte di una forte disoccupazione, specie femminile e giovanile, per tanti settori non si trovano lavoratori. Della politica attiva del lavoro fa parte non solo il favorire un vero incontro, rispetto al mismatch in atto, fra domanda e offerta di lavoro, ma anche il favorire la formazione dei giovani potenziali lavoratori, la riconversione professionale e la ricollocazione, ad esempio, dei cinquantenni disoccupati a seguito di crisi aziendali. Non parliamo poi dell’esigenza e dell’opportunità che ci sarebbe di riconvertire i lavoratori in cassa integrazione, ciò che si potrebbe fare grazie alla formazione per via digitale. Temo che, alla luce delle attuali condizioni socio economiche e delle condizioni del mondo del lavoro del Paese, senza un patto sociale e senza una vera politica attiva del lavoro l’Italia sia destinata man mano alla progressiva decadenza.

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