Mélenchon non sarà premier e Macron ce la farà per un pelo. Il 53% dei francesi ha bocciato la classe politica, scegliendo di restare a casa in attesa del secondo turno di domenica prossima
Nulla di clamoroso sotto il cielo di Francia. Emmanuel Macron e Jean-Luc Mélenchon registrano un testa-a-testa: 26% circa e nessuno è contento. Un po’ di più, forse il presidente, che vede scongiurato il sorpasso e si appresta al ballottaggio di domenica prossima a prendersi gli sparsi voti moderati mettendo fine alle illusioni del suo antagonista che gli ha dato una mano decisiva per riconquistare l’Eliseo.
Con ogni probabilità, quindi, il governo di centro-sinistra, vagheggiato dalla coalizione popolare, ecologista e socialista capeggiata dal leader di France Insoumise, resterà nell’armadio dei sogni della gauche che mai avrebbe immaginato agli inizi di questa avventura elettorale (presidenziali comprese) di accostarsi tanto vicina al potere.
Mélenchon, dunque, non sarà primo ministro. Elisabeth Borne, che ha vinto nel Calvados, continuerà ad affiancare Macron anche se resta un interrogativo che turba l’Eliseo. Di quale maggioranza disporrà il presidente all’Assemblea nazionale?
Fino a ieri la dominava. Da domenica prossima riuscirà nello stesso intento con numeri certamente più modesti? Macron necessita di almeno 289 seggi per ottenere una maggioranza autosufficiente. Diversamente dovrà cercare qua e là deputati disponibili e utili a garantirgli un margine ampio per far passare i suoi provvedimenti, vale a dire il suo progetto di governo.
Mélenchon ha accarezzato l’idea di condizionare Macron, ma non gli è bastato mettere insieme la Nupes, i vari soggetti della sinistra radicale. Mentre il presidente ha avuto vita più facile, con la coalizione Ensemble! nell’ assicurarsi quanto meno la resistenza all’attacco degli avversari contando molto sull’astensionismo che ha toccato il 53%, più della metà dei francesi che se avessero accarezzato l’idea di un sostenibile cambiamento avrebbero votato certamente per Mélenchon ed allora la partita tra sette giorni sarebbe stata diversa.
Ottimo il risultato di Marine Le Pen che con il suo 19%, mai ottenuto in precedenza alle legislative, si assicurerà, dopo il ballottaggio, un nutrito gruppo di deputati rispetto a cinque anni fa quando portò in Parlamento soltanto sei rappresentanti. Di più non avrebbe potuto pretendere, anche perché la destra continua a mostrarsi incapace di mettere insieme una coalizione vincente. Éric Zemmour, che alle presidenziali con il movimento Reconquête ottenne il 7%, questa volta si è dovuto accontentare del 4: un risultato risibile, considerando che aveva puntato tutto proprio sulle legislative.
Se soltanto i Dioscuri della destra francese si fossero alleati avremmo assistito ad un ballottaggio a tre con i candidati pressoché appaiati. Ma a destra si ragiona con altre parti del corpo piuttosto che con il cervello.
Se non del tutto spariti, certo ridimensionati dalla competizione i post-gollisti dovranno faticare non poco per rimettere insieme i pezzi di quello che era il partito dei moderati di destra erede di una grande tradizione. Tra di loro Macron potrà pescare qualche utile appoggio e, per come sono andate le cose, dirsi soddisfatto.
La partita comunque non è finita anche se il presidente è favorito ed il suo antagonista non sarà premier. Mentre Le Pen continuerà a vivacchiare ancora cinque anni senza assumersi responsabilità di sorta, ma restando sul proscenio.
E il 53% dei francesi non votanti? Alla finestra. Sperando che passi il lungo inverno politico francese e torni la primavera, magari con nuovi leader maggiormente in sintonia con il popolo.