Secondo la ricercatrice Ezzeddine (Clingendael), l’uscita dei sadristi eletti dal Parlamento di Baghdad potrebbe portare una svolta o verso un voto o verso nuove forme di negoziati. Lo stallo istituzionale che dura da mesi complica la situazione dell’Iraq
I deputati del blocco sadrista nel Parlamento iracheno si sono dimessi domenica 12 giugno dopo che il loro leader, il potente chierico sciita Moqtada al Sadr, ha chiesto un coup de theatre nel tentativo di sbloccare la situazione di stallo prolungato sulla formazione del governo.
Alle elezioni politiche di ottobre, il partito di Sadr — basato su una piattaforma populista e nazionalista — ha ottenuto la maggioranza relativa, aumentando il numero di seggi in Parlamento a 73. Tuttavia non sufficienti per muoversi in modo indipendente. Il disaccordo politico tra i partiti, in Iraq da mesi impedisce al Parlamento di eleggere un presidente e di formare un governo.
Sadr, un tempo leader di una milizia spietata (l’Esercito del Mahdi, autore di attacchi contro le forze occidentali ai tempi dell’insurrezione dopo l’invasione statunitense), si è posizionato più recentemente come uno strenuo oppositore sia dell’Iran che degli Stati Uniti. Una posizione che con una semplificazione si potrebbe definire sovranista, davanti a una crescente presenza di Teheran nel Paese (dove molti partiti/milizia sono collegati ai Pasdaran) e del ruolo che gli Usa occupano da due decenni. Questa spinta sul consolidamento della sfera d’influenza da parte degli iraniani ha portato l’Iraq a essere terreno di sfogo di tensioni con gli americani.
Con una dichiarazione scritta a mano, Sadr ha fatto sapere che la sua richiesta di dimissioni ai parlamentari eletti tramite il suo movimento era “un sacrificio da parte mia per il Paese e il popolo, per liberarli da un destino sconosciuto”. Un’immagine che segna un passaggio in mezzo a questo stallo istituzionale, perché le dimissioni dei deputati sadristi può produrre diverse conseguenze. Sebbene ci siano ancora dibattiti e ambiguità sulla legalità delle dimissioni e sulla strada da seguire, che dovrebbero essere risolti prima dal Parlamento e dalla Corte Suprema nelle prossime settimane.
Secondo Nancy Ezzeddine, research fellow al Clingendael dell’Aia, se le dimissioni dovessero andare in porto, il Parlamento potrebbe votare i candidati che si sono piazzati al secondo posto rispetto ai sadristi. Questo aumenterebbe i seggi della coalizione Stato di diritto (di 41 unità), per Farah di 44, per Imtidad di 16 e darebbe a pochi altri seggi aggiuntivi.
“Ciò significa — spiega Ezzeddine a Formiche.net — che il Quadro di coordinamento (come si definiscono le forze di minoranza post elettorale, ndr) potrebbe procedere alla votazione di un presidente parlamentare e alla formazione di un nuovo governo”. Ma con Sadr all’opposizione, continua, “le proteste sono uno scenario garantito che metterà in discussione la capacità del nuovo governo di prendere decisioni o di svolgere il proprio lavoro”.
Il governo non ha alcuna possibilità di sopravvivere senza Sadr, commenta la ricercatrice, “e probabilmente verrano indette nuove elezioni a breve (entro un anno circa). In alternativa, nelle prossime settimane il Quadro di coordinamento potrebbe cambiare le proprie tattiche negoziali e vedere un compromesso più accomodante che riporti Sadr a bordo con modalità a lui gradite”.
La crisi istituzionale a Baghdad è stata recentemente uno dei fattori di polemica tra Iran e Turchia, due Paesi che hanno influenza e interessi in Iraq. Contemporaneamente, altri attori come l’Arabia Saudita hanno un’attenzione particolare a cosa succede tra i corridoi iracheni, anche perché l’attuale governo ha lavorato per creare un territorio di contatto tra Riad e Teheran — secondo un obiettivo del premier Mustafa al Khadimi di diventare uno dei fulcri del dialogo regionale. E infine il ruolo degli Stati Uniti, e per certi versi delle strutture di sicurezza di istanza nel Paese (non ultima la Nato Mission guidata dall’Italia).
Tuttavia, gli attori esterni non hanno un peso significativo in questo caso, secondo Ezzeddine, “poiché Sadr non prende ordini diretti né dall’Iran né dagli Stati Uniti. Inoltre, l’Iran ha già tentato per mesi di fare pressione su Sadr per ottenere un compromesso, ma ha fallito. Può tentare di aumentare la pressione nelle prossime settimane attraverso le minacce, ma è probabile che Sadr risponda con ulteriori minacce”.