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L’inflazione, gli errori della Bce e lo spettro del 2011. La versione di Codogno

Intervista al docente della London School of Economics, già capo economista al Tesoro. Francoforte ha peccato di ambiguità e superficialità, lo scudo anti spread serve eccome. L’inflazione è il vero problema, ma se i prezzi dell’energia non saliranno ancora, almeno in parte verrà riassorbita. Un paragone con l’estate del 2011 non è una forzatura, ma vanno fatte le dovute precisazioni

La Banca centrale europea poteva fare di meglio e molto. Alzare il costo del denaro (25 punti il mese prossimo, forse 50 a settembre) ci può stare se l’inflazione in Europa viaggia su un ritmo dell’8,1%. Soprattutto se la stretta viene strombazzata a dovere settimane, mesi, prima. Il punto è però un altro.

Se era lecito aspettarsi che gli spread sui titoli sovrani, a cominciare da quello italiano (oggi a 233 punti base e con un rendimento sul Btp decennale al 4%, ai massimi da otto anni) reagissero male alla stretta monetaria, è altrettanto lecito innervosirsi dinnanzi alle mancate indicazioni di Francoforte circa quel tanto invocato scudo da attivare qualora il costo del finanziamento del debito sfuggisse di mano. Di questo è profondamente convinto l’economista Lorenzo Codogno, professore alla London School of Economics, fondatore della società di consulenza LC Macro Advisors ed ex capo-economista al ministero dell’Economia.

Lo scorso venerdì abbiamo assistito a un terremoto sui mercati, con i rendimenti dei titoli italiani saliti ai massimi dal 2014. Una qualche scossa, dopo l’annuncio della Bce, era prevedibile. Adesso però che cosa dobbiamo aspettarci dai mercati, forse clemenza?

I mercati finanziari soffrono della svolta del ciclo finanziario internazionale, iniziata già l’anno scorso. I corsi di azioni e obbligazioni sono stati supportati per anni dall’ampia liquidità e dagli acquisti della banche centrali. Tutto questo stava per cambiare anche prima del conflitto in Ucraina e della fiammata inflazionistica. Con l’inflazione così elevata e la necessità di risposte convincenti da parte delle banche centrali, la situazione si fa ancor più complicata. Anche nell’area dell’euro, purtroppo la situazione sta deteriorandosi e vi è qualche similitudine con la situazione del 2011.

Lei Codogno evoca scenari apocalittici, o quasi. L’Italia stava per fallire… 

Allora si veniva da una crisi economica e finanziaria senza precedenti, quella del 2008-9. Oggi, l’economia mondiale sta gradualmente riprendendosi dalla crisi pandemica ed è stata colpita dallo shock inflattivo. In entrambi i casi, l’incertezza sulle prospettive è elevata. Vi sono anche differenze, però.

Quali?

Questa volta le economie emergenti non produttrici di energia stanno soffrendo enormemente e vi è il rischio concreto di un’ondata di default e ristrutturazioni dei loro debiti. Nel 2011, c’erano grandi responsabilità da parte del governo italiano, molto meno oggi, ma l’economia italiana è ancor più fragile di allora. Oggi, l’Eurozona ha più strumenti per contrastare una crisi finanziaria dei debiti sovrani, ma la governance europea rimane fragile, il processo di integrazione è ancora incompiuto, e i rapporti debito/Pil sono ancor più elevati rispetto ad allora.

C’è chi vede nell’inflazione la causa di tutti i mali. Ovvero, nell’impossibilità di famiglie e imprese di sostenere il costo della vita, nel lungo termine. E tutto, diventa così più fragile, crescita inclusa. Le pare una lettura corretta?

L’impennata globale dell’inflazione è legata a varie ragioni, incluso l’eccessivo stimolo fiscale statunitense. In Europa, il rialzo dell’inflazione è legato soprattutto al costo dell’energia e al conflitto in Ucraina. Inizialmente, l’inflazione era ritenuta essere un fenomeno transitorio, ma invece rischia di essere più persistente del previsto. L’inflazione è il peggior nemico per i mercati finanziari e per l’economia. Per i paesi che dipendono dall’estero per l’energia, come l’Italia, di fatto lo shock sulle ragioni di scambio si traduce in un impoverimento del Paese, e quindi al governo rimane solo la decisione di come suddividere il costo tra famiglie e imprese.

Non pare un buon programma. E come la mettiamo con la crescita?

Lo shock indubbiamente indebolisce le prospettive sulla crescita economica, ed in particolare per i consumi delle famiglie. Al momento, sembra che un boom turistico, gli investimenti del Ngeu, una buona ripresa occupazionale e una discreta ripresa delle esportazioni riescano a compensare la riduzione del reddito disponibile reale delle famiglie e quindi dei consumi, ma nei prossimi trimestri la situazione rimane incerta.

Torniamo a Francoforte. La Banca centrale europea si è tenuta piuttosto vaga su possibili interventi in caso di spread sovrani fuori controllo. E in molti invocavano uno scudo anti-spread…

Per i Paesi in difficoltà esiste il Mes (European Stability Mechanism) e l’Omt (Overnight Monetary Transactions) e molti Paesi pensano che questi due strumenti possano esser sufficienti, anche se richiederebbero una forte condizionalità che potrebbe risultare tossica politicamente. Per questo motivo, alla Bce ha prevalso la strategia della cosiddetta ambiguità costruttiva, ovvero del dire e non dire, con la promessa che la banca centrale farà tutto quanto necessario attivando in aggiunta un qualche strumento anti-spread oltre al re-investimento flessibile degli stock di titoli acquistati dalla Bce e se necessario. Ma a mio avviso non è sufficiente.

Glielo stavo per chiedere. Perché?

In questi casi conta la credibilità dell’impegno e la presidente Lagarde non sembra godere della stessa magia di Draghi agli occhi dei mercati finanziari. Le vicende degli ultimi tempi hanno lasciato chiaramente intravvedere che il consiglio direttivo è diviso su questo tema. Molti governatori nazionali non sono disposti ad andar oltre quanto già previsto nell’ambito dell’Omt. Ma senza un vero e proprio scudo anti-spread, non è impensabile che ad un certo punto i mercati finanziari vogliano testare la determinazione della Bce, e questo può accadere prima di quanto si possa immaginare. Diventa essenziale che venga attivato subito un ombrello protettivo di natura monetaria o fiscale per prevenire possibili problemi di stabilità e frammentazione finanziaria. 2011 docet.

Energia, che poi fa rima con inflazione. Nella testa del governo c’è lo sganciamento dal gas russo entro la fine del 2024. Per quella data l’Italia avrà cambiato fornitore e forse sarà più indipendente. Le pare una prospettiva ragionevole?

La riduzione della dipendenza dal gas russo è già in corso e forse metà di essa è già stata conseguita. Ridurre la rimanente metà sarà però molto difficile. Quindi con ogni probabilità i prezzi dell’energia rimarranno elevati per parecchio tempo, anche se sperabilmente non in ulteriore rialzo e questo dovrebbe favorire un graduale riassorbimento dell’inflazione.

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