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Le guerre si vincono a terra, ma per farlo serve personale. L’audizione di Serino

La dimensione terrestre delle operazioni militari resta quella in cui si decidono le sorti di un conflitto, ed è per questo che l’Esercito deve prepararsi ad affrontare le minacce del futuro prevedendo un aumento del personale specializzato. L’audizione del capo di Stato maggiore dell’Esercito, generale Pietro Serino, al Senato

Le guerre si combattono ormai nelle cinque dimensioni operative, ma si decidono sempre nella dimensione terrestre. Parola del capo di Stato maggiore dell’Esercito, generale Pietro Serino, ascoltato in audizione alla commissione Difesa del Senato per affrontare la discussione sul disegno di legge n.2597 che rivede il modello delle Forze armate, a cui è collegata la delega al governo per la revisione dello strumento militare nazionale. “Il conflitto in Ucraina – ha proseguito il generale – conferma ancora una volta l’importanza dell’Esercito per la difesa, per il presidio e per il controllo del territorio”.

L’aumento del contingente

Di fronte a questi scenari, dunque, il generale Serino ha auspicato la previsione di un aumento del contingente destinato all’Esercito di diecimila unità, “la risposta alle urgenti esigenze del presente ed un primo e fondamentale passo verso il volume ideale del modello futuro che il quadro internazionale sta dettando”. Secondo il generale, alla Forza armata serve “un numero di uomini e donne che non sia inferiore almeno all’attuale pianta organica, che è di centomila unità”.

Uno strumento terrestre pronto al futuro

Quanto richiesto dal capo di Stato maggiore, del resto, è in linea con l’incremento previsto nel disegno di legge attualmente in esame, “per la prima volta, a mia memoria, assistiamo ad un’inversione del trend costantemente decrescente delle dotazioni di personale per l’Esercito” ha commentato Serino. Questo incremento, poi, “dovrà essere perseguito con immediatezza”, in modo da consentire alla Forza armata di reclutare da oggi il personale ad alta specializzazione necessario per mitigare le criticità in atto e, soprattutto, “per attagliare lo strumento militare terrestre alle nuove minacce che si sono concretizzate in questi due ultimi anni”.

Serve personale specializzato

Come ribadito dal generale “Ora come non mai la forza armata ha bisogno di personale più qualificato nei moderni e dinamici profili che caratterizzano le nuove tecnologie”. In particolare, per Serino, c’è la necessità di reclutare ufficiali e sottufficiali in possesso di avanzate e approfondite conoscenze per supportare le forze nei domini cyber e spazio: “personale specializzato nelle telecomunicazioni strategiche, ufficiali ingegneri con solide competenze in campo informatico, infrastrutturale e meccanico; ufficiali del settore giuridico-amministrativo; personale sanitario e logistico”.

La proroga alla legge 224/2012

L’atto in discussione di fatto dilata i tempi dettati dalla legge 224/2012, che prevedeva di contrarre del 30% le strutture operative, logistiche, formative, territoriali e periferiche della Difesa e di ridurre entro il 2024 il personale militare delle Forze armate a 150mila unità e quello civile della Difesa a 20mila unità. In generale poi si prevedeva di riequilibrare il Bilancio delle risorse per la “Funzione difesa” ripartendolo al 50% per il settore del personale, 25% per l’esercizio e 25% per l’investimento. Ora, la norma in discussione prevede di spostare la data prevista al 2034. “La possibilità immediata di arrestare la contrazione dei reclutamenti in atto – ha assicurato il capo di Stato maggiore – si rifletterà positivamente sull’operatività dei nostri reparti”.

Ridurre l’invecchiamento della Forza

Secondo Serino, dunque, il differimento a fine 2033 dei termini per il conseguimento delle dotazioni organiche previste dalla legge 244/2012 “consentirà di evitare la drastica riduzione dei reclutamenti in atto e di assorbire le attuali eccedenze organiche senza ingenerare criticità a carico delle categorie del personale interessato alla riduzione”. Nei fatti, questo permetterà di sbloccare il turn over generazionale grazie ad una più consistente immissione di giovani, “con effetti diretti e positivi sull’operatività dell’intero strumento militare”, mitigando al contempo gli effetti negativi del fenomeno dell’invecchiamento, “che oggi vede circa il 57% dei volontari in servizio permanente dell’Esercito con un’età superiore ai 40 anni e un’età media 39,8 anni”.



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