L’Unione Europea ritrova il massimo dell’unità e si mobilita a difesa del popolo ucraino dilaniato dall’ingiustificabile invasione della Russia di Putin. È questo il senso della visita a Kiev del di Draghi, Macron e Scholz
Speculari, ma con ricadute diverse, i riflessi a Mosca, Washington, Pechino e Bruxelles della visita a Kiev di Draghi, Marcron e Scholz, più che una svolta, tracciano una netta linea di demarcazione. Dal nuovo baricentro dell’Europa, non più a due, Francia e Germania, ma a tre con l’assunzione paritaria della leadership europea riconosciuta a pieno titolo all’Italia, dalla capitale dell’Ucraina invasa e quotidianamente massacrata dalla Russia di Putin, il premier Mario Draghi, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz sottolineano la trasfigurazione estrinseca di un’Unione garante e baluardo della democrazia europea, tanto rispetto allo spietato imperialismo di Mosca, quanto nei riguardi delle subdole tendenze pervasive del dragone cinese e degli eccessi egemonici degli Stati Uniti.
Una visita cruciale, non soltanto emblematica ma specificatamente pragmatica perché la stessa sconvolta mancanza di parole avvertita dai leader europei per descrivere l’inimmaginabile tragedia umana e la terribile distruzione che hanno constatato ad Irpin, si è trasformata – soprattutto da parte di Macron che ha affermato “serve che l’Ucraina possa resistere e vincere” – nella ferma determinazione di potenziare ulteriormente il flusso di rifornimenti di armamenti e di assistenza militare a Kiev. Un abbraccio di sostegno effettivo insomma e non di cinica partecipazione al funerale del popolo ucraino quello che l’Europa di Draghi, Macron e Scholz tributa al cospetto del mondo e in particolare del Cremlino con la visita al presidente Volodymyr Zelensky.
Ne emerge un sostegno senza ambiguità, perché consapevole e aderente allo sdegno per la disumana realtà in cui versa l’Ucraina. Una consapevolezza che ha azzerato le riserve mentali del presidente francese e del cancelliere tedesco, che alla vigilia sembravano inclini a indicare a Kiev la strada di mortificanti trattative con i russi. “È il momento dell’Europa, che deve raccogliere le sfide con coraggio, lo stesso coraggio dimostrato dal presidente Zelensky, con determinazione e unità”, ha detto Draghi, secondo il quale siamo a un momento di svolta nella nostra Storia. “Il popolo ucraino difende i valori di democrazia e libertà del progetto europeo” e, proprio per questo motivo, “non possiamo indugiare e ritardare il processo di adesione dell’Ucraina all’Europa” ma lavorare per “creare una comunità di pace e di diritti. Vogliamo che si fermino le atrocità e vogliamo la pace. Ma l’Ucraina deve continuare a difendersi se vogliamo la pace, e sarà l’Ucraina a scegliere la pace che vuole. Qualsiasi soluzione diplomatica non può prescindere dalla volontà di Kiev, da quello che ritiene accettabile per il suo popolo. Soltanto così – ha concluso il premier italiano – possiamo costruire una pace che sia giusta e duratura”.
Chissà se a Mosca hanno davvero presente cosa significhi che l’Europa, gli Stati Uniti e l’Inghilterra continuino a rifornire all’infinito e sempre con armamenti di volta in volta più sofisticati e efficaci l’Ucraina. Pechino l’ha capito, il Cremlino finge di no. Dal Giappone alla Germania, all’Italia nell’ultima guerra mondiale, ma anche dall’Argentina dei militari alla Libia di Gheddafi, le tragedie più immani sono quelle delle dittature che trascinano alla rovina i loro Paesi e compromettono il futuro del proprio popolo.