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Perché Di Maio non romperà con Conte. La versione di Padellaro

L’editorialista del Fatto: “Conte non aprirà la crisi di governo. E Letta fa bene a puntare sull’alleanza per il campo largo”. Lo scontro con Di Maio? “Se gli screzi sono legati al doppio mandato, devono essere risolti internamente”

Duello al sole. Ma qui in palio non c’è un premio Oscar, ma la stabilità di un governo e il futuro di un Movimento che, sempre più, sembra aver smarrito la strada maestra. Lo scambio di accuse al fiele tra il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, e il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, agitano gli umori. Soprattutto dell’esecutivo. Tanto più se il ministro degli Esteri accusa l’avvocato di Volturara Appula di imitare Matteo Salvini negli attacchi a Draghi. C’è già chi vocifera di possibile scissione: Conte e i suoi grillini duri e puri da una parte, e Di Maio con i più istituzionalizzati dall’altra. “È difficile fare previsioni, ma escludo che Di Maio possa uscire dal Movimento. Così come escludo che Conte possa aprire una crisi di governo”. Antonio Padellaro, co-fondatore, già direttore e ora editorialista de Il Fatto Quotidiano cerca leggere i moti tumultuosi all’interno del Movimento in maniera lucida.

Padellaro, i toni tra Di Maio e Conte si sono alzati sensibilmente negli ultimi giorni. Che succede?

Questo duello al sole – i due si sono scambiati le accuse sotto la canicola romana, in piazza – rende questo confronto tra Di Maio e Conte piuttosto spettacolare. Va dato atto al Movimento che, evitando giri di parole dorotei, se la cantano in maniera piuttosto diretta. Ma questo in qualche modo fa parte del dna grillino.

Sì, ma al netto dell’aspetto estetico, perché è convinto che Di Maio non strapperà?

Premetto che è un’impressione. Ma mi pare che Di Maio in fondo sappia di non avere molte alterative. Oltre a non avere molto seguito. Il punto vero, tuttavia, è capire da dove trae origine questo scontro.

Lei che idea si è fatto?

Ho formulato due ipotesi che, su un’ipotetica scala gerarchica, politicamente, hanno pesi diversi. Se il problema che rileva Di Maio è legato alla linea che Conte vuole imprimere al Movimento circa la politica estera (ossia una posizione meno atlantista, meno solidaristica verso l’Ucraina e che quindi può avere ripercussioni sull’impostazione delle politiche messe in atto da Draghi) è una questione seria. Se invece il problema è legato al vincolo del doppio mandato, va da sé che si tratta di una questione interna che va risolta tra loro.

Alla luce di questi screzi e del risultato poco commendevole alle amministrative, non c’è il rischio che il Pd rinunci all’alleanza con il Movimento e viri su altri partner per il campo largo?

Posto che il risultato, alle amministrative, non è detto che si riproponga alle politiche, a mio parere Letta fa bene a continuare a credere nell’alleanza per il cosiddetto campo largo con il Movimento 5 Stelle. D’altra parte, stando ai sondaggi, il Movimento veleggia ancora attorno al 13%.

Perché Letta non sceglie di stare con Calenda e Renzi?

Prima di tutto perché comunque, anche assieme, non hanno il serbatoio elettorale che ancora vanta il Movimento 5 Stelle. In più, fra Renzi e Calenda c’è un problema di ego: finché uno dei due non cede il passo, non si arriverà mai a un accordo che possa mettere assieme le forze centriste. Anche se, va detto, Calenda rispetto a Renzi ha un progetto più strutturato e non è gravato da tutto il passato renziano. In più, c’è un discorso che lambisce i rapporti personali tra Conte e Letta: sono ottimi e c’è una grande intesa.

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