Non c’è la tregua e nemmeno la guerra. La nota del Consiglio nazionale del Movimento Cinque Stelle consegna a Di Maio una sfiducia politica, per ora niente espulsione. Sull’invio di armi posizione annacquata, non ci sarà il braccio di ferro in aula
Molto rumore per nulla. Serve Shakespeare per addentrarsi nella tragicommedia che agita il Movimento Cinque Stelle. La fatwa contro Luigi Di Maio c’è, l’espulsione no. Come previsto, la nota del Consiglio nazionale si risolve in una sfiducia politica del ministro degli Esteri, che per il momento resta dentro, almeno formalmente. Le accuse di Di Maio, recita una nota al vetriolo, sono “inveritiere e irrispettose” e “gettano discredito sull’intera comunità politica” del Movimento. Per questo il Consiglio “confida che cessino queste esternazioni lesive dell’immagine e della credibilità dell’azione politica del Movimento 5 Stelle”.
La resa dei conti è dunque rimandata. In Lussemburgo, dove è impegnato nel Consiglio affari esteri dell’Ue, Di Maio rimane un ministro del Movimento Cinque Stelle in missione. Ma è solo questione di tempo. La nota del Consiglio è un capolavoro di tatticismo. Chiusa solo nel primo pomeriggio, dopo una mattinata di tira e molla dei vertici sul fraseggio da inserire. A remare contro l’ipotesi di una “guerriglia” interna, secondo l’Adnkronos, l’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino.
Il colpo più duro al ministro ribelle, a microfoni accesi, è arrivato dal presidente della Camera Roberto Fico, uno dei “big” per cui Giuseppe Conte vorrebbe cucire una deroga “per merito” al tetto dei due mandati garantendo così un’altra legislatura in Parlamento. Non c’è uno scontro tra Conte e Di Maio, ha detto Fico da Napoli, “al massimo c’è un Movimento-Di Maio”. Parole che fanno eco all’affondo della vicepresidente Paola Taverna, tra i fedelissimi di Conte, che intervistata dalla Stampa ha definito l’ex capo politico “un centrista qualunque”. “Siamo stupiti e stanchi per gli attacchi che diversi esponenti M5S, titolari anche di importanti cariche istituzionali, oggi hanno rivolto al ministro Di Maio”, ha ribattuto il portavoce del titolare della Farnesina Giuseppe Marici.
Buona parte della nota conclusiva del Consiglio però non si concentra sull’affaire Di Maio ma sul casus belli, la risoluzione di maggioranza sull’invio di armi in Ucraina che atterrerà domani a Palazzo Madama. Un’altra mina sminata, a leggere il testo, che auspica “un più pieno e costante coinvolgimento del Parlamento con riguardo alle linee di indirizzo politico che verranno perseguite dal governo italiano nei più rilevanti consessi europei e internazionali, inclusa l’eventuale decisione di inviare a livello bilaterale nuove forniture militari, funzionale a rafforzare il mandato del Presidente del Consiglio in tali consessi”.
Niente braccio di ferro, e anzi viene ribadito che la posizione del Movimento “è saldamente ancorata alla Carta delle Nazioni Unite, all’appartenenza euro-atlantica dell’Italia e costantemente orientata a rafforzare il processo di integrazione dell’Unione Europea”. Una smentita studiata per far sparire l’ombra di un Movimento fuori dall’asse atlantico evocata da Di Maio. Domani al Senato non ci sarà una risoluzione targata M5S, garantiscono dall’interno.
Che ne sarà ora del ministro? L’espulsione non sarà una passeggiata. Il Consiglio non ha i poteri per farlo, spetta ai probiviri, e a giudicare dall’impantanamento del fascicolo sul russofilo Vito Petrocelli, allontanato ma non espulso dopo essersi rifiutato di votare la fiducia al governo, ci potrebbe volere più tempo del previsto. Se espulsione sarà, assicura chi è vicino all’ex premier, Conte preferirebbe una conferma dal voto della base online, dato come un quasi-plebiscito a favore del capo attuale. E tra le file contiane c’è chi sospetta che una cacciata pubblica si trasformerebbe in un assist (voluto) per l’ex ministro.
Tutto rinviato. Intanto occhi puntati sulla riunione dei gruppi parlamentari convocata per mercoledì. Qui la partita è tutto tranne che scontata, perché Di Maio esercita un peso non indifferente sulle truppe in aula e conta sul sostegno di primissime file, a cominciare dai capigruppo di Camera e Senato Davide Crippa e Mariolina Castellone.