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Le piccole imprese italiane e la sfida della digitalizzazione. Numeri e prospettive

Rispetto agli altri Paesi europei, le nostre pmi sono molto indietro. Dalla tavola rotonda organizzata da Meta con Ambrosetti emerge la necessità di abbracciare la digitalizzazione, che varrebbe 25 miliardi di Pil ogni anno. Per riuscirci, bisogna coinvolgere manager e imprenditori in un processo di educazione a modelli di business sostenibili

Per le piccole e medio imprese italiane è arrivato il momento di affidarsi alla digitalizzazione. Il messaggio lanciato dalla tavola rotonda “Il contributo dei social media e dei canali digital per la crescita e la digitalizzazione delle PMI”, organizzata da Meta nel Binario F a Roma, appare più un monito. Abbracciare lo sviluppo non è più un’opzione, soprattutto dopo i due anni di pandemia che hanno rivoluzionato il modo di lavorare e non solo. Durante questo periodo, “è stato giocoforza obbligatorio per le pmi affacciarsi al mondo del digitale”, ha confermato Eleonora Faina, Direttrice generale Anitec Assinform.

Eppure, dallo studio realizzato per Meta da The European House – Ambrosetti, è emerso chiaramente come il gap delle piccole imprese italiane rispetto a quelle europee sia (ancora) troppo grande. Rispetto al blocco dei 27, le nostre aziende si trovano al 18° posto per livello di digitalizzazione e interazione digitale coni clienti. Se si guarda, invece, allo sviluppo delle competenze digitali la questione diventa ancora più allarmante: l’Italia è ventunesima e conta i livelli più bassi di specialisti ICT in Europa. Compiere il salto richiesto potrebbe aumentare fino al 9,2% la produttività delle pmi italiane e generare 24,8 miliardi di euro aggiuntivi al PIL, qualora arrivassimo ai livelli tech di Danimarca, Finlandia e Svezia. I tre Paesi scandinavi rappresentano infatti i best performer, la via da seguire per chiunque sta indietro come le nostre imprese. Chi, tra queste, già utilizza canali digitali ha visto crescere i propri ricavi del 20%, il numero dei propri clienti del 30% e i followers sui social del 40%. Le visite agli store fisici addirittura del 50%.

A dare una sterzata è stato il Covid-19, che ha contribuito a migliorare l’utilizzo di soluzioni collaborative digitali (+14,5%) e la comunicazione delle varie imprese con la propria clientela (+12,7%). Nonostante ciò, il livello di digitalizzazione non si può dire che sia all’altezza. “Meta ha dato il suo contribuito per implementare le competenze digitali delle piccole e medio imprese italiane”, ha affermato Angelo Mazzetti, Head of public policy di Meta per Italia, Grecia, Malta e Cipro. D’altronde, “una maggiore digitalizzazione può comportare un miglioramento generale e le competenze accelerano questo processo”. Anche Mazzetti si è soffermato sui dati negativi che descrivono la realtà digitale delle imprese italiane. “Da quando quello che era Facebook è arrivato in Italia ha iniziato a investire per portare il Paese verso un’economia sempre più digitale. Lo abbiamo fatto appoggiandoci a chi ci conosceva, come Confcommercio, e abbiamo coinvolto migliaia di imprese in tutta Italia per dare concretezza al nostro sforzo digitale”. Tra cui va annotata la formazione di 150 mila persone negli ultimi due anni, nonostante i vincoli della pandemia.

Un periodo in cui la stragrande maggioranza dei lavoratori ha conosciuto un’idea (sbagliata) di smart working, che può essere chiamato più home working. Rispetto alla sua accezione primordiale, infatti, quello che abbiamo vissuto “è alienante, ma per una pmi vuol dire risparmiare in termini di costi oltre che aprirsi a nuovi orizzonti”, ha spiegato la direttrice Faina. Questi, tuttavia, devono essere colti “dalla leadership aziendale, che deve capirne il valore e i benefici. Il nostro compito è invece di comprendere dove e quali risorse servono per aiutarli”. L’obiettivo è quello di “rafforzare l’intera struttura sociale del Paese con potenze diverse, selezionate in base alle competenze. C’è anche un problema di linguaggio, perché parlare digitale non è così scontato per ogni pmi. Ma non è neanche così difficile trovare gli strumenti per avvicinarsi e, quindi, far avvicinare anche l’utente. Le piccole imprese presentano ovviamente qualche resistenza in più ad affacciarsi a queste nuove tecnologie, ma sfruttandole possono essere più produttive. Le aziende italiane, rispetto a quelle europee come le francesi, sono più piccole e questo elemento di debolezza deve essere superato”.

I nuovi strumenti vengono ancora visti come lontani, ma c’è anche chi prova a sfruttarli a proprio beneficio. La sfida più grande per il prossimo futuro appare quella del Metaverso, per cui la stessa Meta nutre curiosità nel vedere come verrà affrontata e recepita. La rivoluzione, seppur in modi differenti, può essere accomunata a quella dei social network come strumento di lavoro. “A livello internazionale abbiamo 200 milioni di aziende che utilizzano i nostri servizi e sfruttano Facebook e Instagram per promuovere i loro prodotti e raggiungere gli utenti”, riprende Mazzetti. Il primo utilizzo che viene fatto dalle imprese è proprio quello di allargarsi, internazionalizzarsi e coinvolgere l’utenza nei suoi prodotti. “La pubblicità che si può fare sui social ti permette di arrivare a costi contenuti direttamente alle persone. Il trend che abbiamo visto crescere nel corso della pandemia è quello della messaggistica istantanea, come con strumenti come Whatsapp, che possono essere utilizzati come interazione e customer service. Siamo assolutamente curiosi di vedere come utilizzeranno le nostre nuove tecnologie”.

Se il futuro assumerà tinte sempre più digitali dipenderà molto dal Pnrr. Tre sono i settori che Meta ha preso come veicoli di traino per la trasformazione tech. “Ci focalizziamo su cultura, turismo e sostenibilità, tutti settori che conosciamo molto da vicino”. L’ultimo è quello su cui puntare di più, ma solo perché indietro rispetto agli altri due, specie nel campo dell’agrifood. Sul primo, spiega Mazzetti, “abbiamo lavorato con i teatri italiani per trovare nuovi strumenti digitali, che sapessero rispondere alle esigenze degli ultimi due anni” quando la presenza del pubblico era ridotta a zero. L’esperienza in pieno lockdown del Teatro San Carlo è una di queste, con la trasmissione online di uno spettacolo per far godere il teatro alle persone, seppur a distanza. “Trasmettere gli spettacoli online in queste situazioni emergenziali rappresenta un’opportunità per il fatturato di queste aziende, superando il limite della presenza fisica che, comunque, rimane importante”. Sul lato turismo, invece, “abbiamo lavorato con il Fai a stretto giro e i social hanno la responsabilità, oltre che l’opportunità, di promuovere business model sostenibili”. Poi si corregge: “Più che promuovere, è educare”.


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