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Le carte di Draghi al tavolo della Nato

Alla vigilia del vertice di Madrid che cambierà il corso della Nato l’Italia di Draghi ristudia le carte. Dal Nord Africa all’immigrazione fino ai Baltici, la bussola di Roma per l’alleanza

Cosa porta l’Italia al summit della Nato a Madrid? Alla vigilia del vertice che deciderà il futuro dell’Alleanza nella capitale spagnola – blindatissima in attesa dei leader – il governo Draghi ripassa le carte.

È un appuntamento che, non c’è dubbio, farà la storia dell’alleanza militare nata più di settant’anni fa. Per la guerra di Vladimir Putin in Ucraina, che fa della Russia non più un avversario qualunque, ma “la principale minaccia diretta” della Nato, ha avvisato il segretario generale Jens Stoltenberg. Per la storica richiesta di adesione di Svezia e Finlandia, i due Paesi nordeuropei nel mirino della minaccia russa, oggi appesi al veto del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Per la sfida cinese, che per la prima volta fa capolino al summit nordatlantico con l’invito degli alleati nel Pacifico, fra gli altri il Giappone e la Corea del Sud.

L’Italia, a modo suo, giocherà in casa. Il raduno degli alleati in un Paese chiave della frontiera sud dell’Europa permette infatti di accendere i riflettori su alcune priorità strategiche care all’Italia e un po’ meno ai Baltici e all’Est-Europa. Immigrazione, terrorismo, instabilità nel Mediterraneo e nell’Africa settentrionale e subsahariana troveranno spazio nel nuovo “Concetto strategico”, la roadmap che segnerà le priorità dell’agenda Nato da qui ai prossimi anni.

Draghi arriva a Madrid potendo rivendicare i “compiti fatti”. L’Italia è un importante contributore dell’Alleanza. Conta otto missioni in cui è impegnata con uomini e risorse, talvolta al timone dei contingenti Nato – succede in Iraq e ora anche in Bulgaria – e con questo governo si è impegnata a raggiungere finalmente l’obiettivo del 2% del Pil destinato alle spese per la Difesa, sia pure con un traguardo non proprio vicino, il 2028. Trovare una quadra tra tutti e trenta gli Stati membri radunati in Spagna non sarà facile, così come riporre le speranze in un comunicato finale che sciolga tutti i nodi sul tavolo. Ogni Paese ha le sue priorità e l’Italia non fa eccezione.

Tra quelle che tolgono il sonno alla diplomazia italiana c’è l’esigenza di non monopolizzare il dibattito sulla sicurezza sul fronte nord-orientale. Non perché l’Ucraina debba rimanere sullo sfondo: il governo italiano è stato finora tra i più diretti sostenitori europei di Volodymyr Zelensky, atteso al vertice Nato in videoconferenza. E tantomeno per opporsi all’allargamento dell’alleanza a Nord: il governo Draghi è stato tra i primi in Europa a dare l’endorsement alla candidatura di Stoccolma ed Helsinki. Per evitare la dicotomia Nord vs Sud, anzi, l’Italia spinge per parlare di “sicurezza a 360 gradi” dell’alleanza. È la stessa apertura di goniometro della minaccia russa, presente ad Est con le truppe e i missili di Putin, attiva a Sud con i mercenari del gruppo Wagner che destabilizzano la Libia e l’intera fascia saheliana.

Il fianco Sud sarà protagonista del summit. In quest’ottica vanno letti due inviti inediti. Da una parte la Mauritania, partner strategico nel Sahara Occidentale al confine con il Mali ormai sprofondato nell’instabilità e terra di transito dei flussi migratori verso le coste spagnole. Dall’altra la Giordania, tra i più fedeli alleati della Nato in Medio Oriente, perno nella regione per la sua posizione tra Siria, Iraq e Israele.

Per i padroni di casa è un’occasione unica. Il governo socialista di Pedro Sanchez, alle prese con una crisi migratoria culminata nella recente strage di Melilla, sulle coste marocchine, spinge per inserire l’immigrazione tra le “minacce ibride” per la Nato. Una posizione su cui l’Italia mostra cautela, complici le tante resistenze in Europa, a partire da Paesi di frontiera come Ungheria e Grecia.

Ma il Mediterraneo non è l’unico mare su cui si proietterà l’alleanza da Madrid. Nessuno pensa a una “Nato del Pacifico”, continuano a dire da Bruxelles per smontare l’allarme presente in massa sui giornali del governo cinese in queste settimane. E però della Cina e di come contenerne le ambizioni al summit si parlerà, insieme agli alleati nella regione chiamati a raccolta.

A differenza della Russia, che con l’invasione del 24 febbraio ha imboccato una strada senza ritorno, l’Ex Celeste Impero non sarà indicato nel concetto strategico come una “minaccia diretta”. Fino agli ultimi giorni prima del raduno si è fatto sentire il pressing di alcuni Stati europei – le aperturiste Francia e Germania in cima – per ribattezzare Pechino semplicemente come un “competitor”, cioè meno di quanto decretato dalla Commissione europea tre anni fa, quando ha definito Russia e Cina “rivali sistemici”.


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