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Civiltà Cattolica illustra una bioetica che supera i rigorismi

Sul prossimo numero de La Civiltà Cattolica un importante saggio sui principali temi di bioetica letti alla luce del magistero di papa Francesco. Questo metodo supera il rigorismo. Un approccio che andrebbe assunto anche dalle altre culture. La riflessione di Riccardo Cristiano

Da quando la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha fatto irruzione nel dibattito pubblico, i temi relativi al vasto campo della bioetica hanno ritrovato centralità nel dibattito pubblico. L’aborto è parte importantissima del problema, con l’aggravante di arricchire la discussione sul rispetto della persona con quella sulla distinzione tra organismo vivente formato e persona, in quanto tale intestataria di diritti. Le posizioni espresse da gran parte dei commentatori e dei protagonisti del dibattito pubblico hanno divaricato sempre di più le posizioni in materia, fino a creare un clima nel quale è impossibile capirsi e quindi convivere.

Proprio questo dato di fatto aumenta il valore del saggio di padre Jorge José Ferrer, S.I., che apparirà da sabato sul nuovo quaderno della Civiltà Cattolica e intitolato “rileggere l’etica teologica della vita”. Il testo presenta e commenta il contenuto di un volume che raccoglie gli atti del seminario interdisciplinare di studio promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita sul tema “Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche”.

Tenterò, sebbene consapevole che non sia corretto farlo, di presentare questo saggio in una sola prospettiva: quella del contributo che offre alla comprensione interculturale. Non è l’approccio corretto perché l’autore chiarisce da subito che nel volume non viene espressa “una posizione cattolica”, dà conto di posizioni diverse e anche discordanti. Ma nel complesso consente di cogliere approcci e indicazioni che possono aiutare tutte le parti a capirsi, pur nella problematicità, più che a scontrarsi.

Già nelle prime pagine del saggio padre Ferrer ci presenta così la discussione sulla difesa della vita umana: questa difesa riguarda la vita umana innocente, e quindi afferisce l’aborto, il suicidio, l’eutanasia, i mezzi ordinari e straordinari, la legittima difesa, e persino questioni relative alla guerra giusta. Il punto su cui magistero e teologia si sono a lungo basati è la forza dei doveri negativi: “I precetti negativi della legge naturale – come la proibizione dell’attentato diretto alla vita innocente – costituirebbero un obbligo assoluto: semper et pro semper. Questo senza alcuna eccezione, indipendentemente dalle circostanze e dalle conseguenze. Attentati indiretti si possono invece giustificare applicando il principio del duplice effetto”. Ma il Concilio Vaticano II ha modificato l’approccio e l’enciclica di Giovanni Paolo II, Evangelii Vitae, “non rinuncia all’affermazione di precetti assoluti, basati sulla proibizione dell’attentato diretto contro la vita innocente. Riafferma con forza la proibizione totale dell’aborto diretto e dell’eutanasia. Ciò nonostante, presta attenzione anche alla contestualizzazione socioculturale e teologica delle indicazioni normative. Pertanto, sebbene permanga una forte accentuazione della dimensione normativa, vi si rivela altresì la crescente attenzione ai contesti esistenziali e socioculturali dell’agire umano e della sua imputabilità morale”. Questo sviluppo è stato marcato nel pontificato di Francesco. Può aiutare le culture a capirsi? A mio avviso sì. Ma dobbiamo proseguire con ordine.

Davanti alla norma morale siamo chiamati soltanto ad applicarla? Padre Ferrer ci avverte che Francesco “insiste sull’inserimento della norma all’interno del processo decisionale della persona. Con ciò il discernimento pratico, condotto dalla coscienza, acquista un’importanza nuova. La maggiore attenzione posta sul discernimento e sulla coscienza conduce così a un notevole approfondimento del significato della norma morale. Nell’esercizio del discernimento morale si constata una circolarità virtuosa tra la coscienza e la norma, che apre al superamento di una distinzione rigida tra l’oggettività di una norma e la soggettività della coscienza. La coscienza umana non è una facoltà che si limita ad applicare le norme alle circostanze concrete. L’attenzione alla complessità dell’atto morale ha conseguenze importanti. Per stabilire che un determinato corso dell’azione – per esempio, un intervento clinico – è eticamente appropriato, non basta l’applicazione più o meno meccanica di una norma generale, ma è necessaria l’ardua opera del discernimento, che tiene conto delle circostanze personali e del contesto sociale”.

Se volessimo banalizzare un discorso così “complesso” (non complicato) potremmo dire che la norma serve l’uomo e non l’uomo la norma. E se colleghiamo questo discorso al contesto in cui ci troviamo arriviamo alla necessità di un criterio relazionale e non soltanto individuale: “La vita morale non può essere intesa come assolvimento dei doveri imposti da un ordine impersonale e prestabilito, secondo il paradigma naturalista”. Detto in termini che padre Ferrer certamente non condividerà, davanti a dogmatismi sempre più diffusi e assoluti, anche un liberale potrebbe riconoscere in questo approccio qualcosa di più vicino a lui, al suo modo di ragionare: se volessimo usare parole provocatorie potremmo dire “come se contenesse dei principi di relativismo”.

Questa superficiale percezione è infondata ma anche positiva, perché consente a chi non vuole ascoltare altro che il proprio assolutismo di seguire il prosieguo del suo ragionamento, che ovviamente riguarda il credente, ma parte da una constatazione che ci riguarda tutti: viviamo in comunità. È di grande rilievo cosa fa derivare da questo: “L’autonomia cristiana non s’identifica con l’autonomia individualistica della cultura liberale. È una autonomia-in-relazione, perché la persona non si realizza nell’isolamento egocentrico. Anche la dignità umana è una dignità inerente all’essere umano, che si esplica nella relazione e nel servizio, soprattutto dei più vulnerabili: i poveri, i malati, i bambini, riconosciuti sempre nel loro statuto di persone. Il personalismo cristiano – che si articola in modelli teorici anche molto differenti – in generale promuove una comprensione relazionale della libertà che si esprime nella fraternità e nel servizio, con amore preferenziale per i vulnerabili”.

Se questa idealità è comprensibile a tutti, può non essere condivisa da tutti, ma rende accessibile una prospettiva diversa: l’individuo in cui oggi che si sente liberale viene presentato come una monade e in questo modo si diffonde una percezione delle libertà come soltanto individuali. Quello che un tempo è stato il “movimento operaio” invece contemplava una visione più comunitaria delle libertà, non contemplando una realizzazione isolata della persona. Dunque il tema posto da padre Ferrer non è accessibile soltanto al pensiero religioso, o cattolico.

Qui si arriva a un altro punto che può essere indagato anche dalle altre culture: la formazione delle coscienze. Il volume di cui si occupa padre Ferrer “afferma che le norme morali sono necessarie, ma, da sole, insufficienti a determinare come bisogna operare nella situazione particolare. La legge senza la coscienza non ha senso compiuto. Soltanto la coscienza dell’agente morale può formulare la norma concreta per l’azione. Per esempio, la decisione circa il numero di figli che si possono accogliere spetta, in definitiva, ai coniugi davanti a Dio”. Il bene va messo in pratica, e per farlo occorre prestare attenzione alle circostanze mutevoli che incidono sulle deliberazioni. La legge morale poi è necessariamente generica, che la rende incapace di abbracciare tutte le possibili situazioni particolari che si danno nella realtà. Infine ci sono le situazioni complesse, in cui diversi beni sono in gioco, come la sospensione dei trattamenti medici divenuti sproporzionati nella situazione particolare di un malato.

Insomma, appare evidente che nel mondo cattolico il pontificato di Francesco ha sfidato, nel solco conciliare, molti rigorismi. Accompagnarlo nella stessa direzione da altri contesti può aiutare questi stessi contesti a essere meno rigoristi anch’essi e tutti noi ad essere più “comunità”, nella quale ovviamente coesistono culture diverse.

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