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Sarà una guerra lunga. Draghi? Resti in sella. Parla Ischinger

Intervista all’ambasciatore ed ex presidente della Conferenza per la Sicurezza di Monaco. In Ucraina una guerra lunga, forse fino al 2023, ora più armi e sostegno finanziario. La Cina non manderà armi a Putin, difendere Taiwan una nostra responsabilità. Draghi? Resista più che può

Il lungo inverno ucraino avrà bisogno di Mario Draghi saldamente in sella a Palazzo Chigi. Ne è convinto Wolfgang Ischinger, già ambasciatore della Germania negli Stati Uniti e presidente della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, “deve resistere”. Quella russa in Ucraina sarà una guerra d’attrito, spiega il diplomatico a Formiche.net, e si deciderà “in queste settimane”.

Ambasciatore, che piega sta prendendo la guerra?

Due settimane fa sono stato a Kiev, ho parlato con i ministri degli Esteri e della Difesa, parlamentari, leader locali. Credo ci sia un notevole tasso di realismo tra i politici ucraini.

Ovvero?

Comprendono meglio di noi che questa guerra è entrata in una seconda fase. La prima consisteva nell’offensiva totale, che ha preso di sorpresa la Russia per la capacità dell’Ucraina di difendersi. Un attacco con l’obiettivo di ribaltare il governo a Kiev e occupare la capitale.

E la seconda?

La più difficile per gli ucraini: una guerra di attrito, che per definizione non finisce in un giorno o una settimana. Una guerra che alcuni Paesi europei hanno dolorosamente sperimentato durante la Prima guerra mondiale, fatta di interminabili confronti di artiglieria.

Che fine farà il Donbas?

Nel governo ucraino si nutrono poche speranze sulla possibilità di riconquistare il Donbass invaso dai russi. Si spera invece, per ragioni geografiche e demografiche, di riuscire a fare progressi nel Sud, sulla costa e intorno alla città di Kherson. Ci vorranno interi mesi, non succederà prima dell’autunno. Questa guerra non finirà prima dell’inverno e potrebbe spingersi nel 2023.

Le dimissioni di Johnson, il pressing interno su Draghi, la debolezza di Macron. La foto di famiglia dell’Occidente inizia ad appannarsi.

Iniziamo dal bicchiere mezzo pieno: il brutale attacco di Putin ha rafforzato l’Occidente. La Nato è viva e vegeta, è riuscita ad aprire la porta a due democrazie in ottima salute come Finlandia e Svezia. È l’esatto opposto di quel che la Russia crede stia accadendo. Ad ascoltare Putin l’Occidente appare in declino, sta cadendo a pezzi, la Russia sta vincendo e sta forgiando un nuovo ordine multipolare. I summit della Nato a Madrid e del G7 ad Elmau hanno dimostrato che la realtà è diversa.

Ora il bicchiere mezzo vuoto.

L’Occidente è sotto attacco dal suo interno. Dai piani di diversi fra i Repubblicani in America. Dai presunti pacifisti in Europa: nella mia Germania, ad esempio, non tutti sono felici che 100 miliardi di budget siano stati destinati alla difesa.

Cosa la preoccupa?

La crisi economica ed energetica. Se nei prossimi mesi la Germania entrerà in recessione, se non ci sarà abbastanza energia per riscaldare le nostre case e far funzionare le nostre fabbriche, allora il sostegno alla resistenza ucraina crollerà.

Quindi?

Quindi è nell’interesse di tutti chiudere questa guerra il prima possibile. Il problema è che dobbiamo assicurarci di non sacrificare l’integrità e la sovranità territoriale ucraina sull’altare del pacifismo.

C’è una soluzione?

La mia risposta a questo dilemma è semplice: se vogliamo una fine precoce della guerra ma anche una situazione da cui la Russia non esca vincitrice dobbiamo agire subito, aiutare l’Ucraina a difendersi.

Non si sta facendo abbastanza?

 In questo momento dobbiamo fare di più sul piano militare. Non solo equipaggiamento e armi. Penso all’enorme richiesta di sostegno finanziario: gli ucraini hanno bisogno di 5 miliardi di dollari al mese. Nessuno sta pagando le tasse, e senza tasse non si pagano i salari.

Ischinger, cosa farà la Cina?

Trovo la posizione cinese sulla guerra estremamente interessante. Alla Conferenza per la sicurezza di Monaco, il 19 febbraio, due giorni prima dell’invasione, ho chiesto al ministro degli Esteri Wang Yi se la Cina rispetta l’integrità territoriale ucraina come quella di ogni Paese.

Cosa ha risposto?

Sì, inequivocabile. La Cina non si sta unendo all’aggressione russa. Almeno in via di principio, rispetta l’esistenza di un’Ucraina libera. Ovviamente Pechino ha un rapporto solido con la Russia e non prenderà le parti dell’Occidente ma è stata cauta abbastanza da non sostenere la macchina militare di Mosca: ad oggi non sappiamo di partite militari cinesi nelle mani dei russi.

Qual è la strategia?

Sta cercando di salvaguardarsi: non vuole essere vista come alleata del suo rivale americano, ma al tempo stesso non ha interesse a presentarsi come partner attivo in una guerra di aggressione.

C’è una lezione per Taiwan?

Sono sicuro che il comando militare cinese sta studiando con estrema attenzione la guerra in Ucraina. In particolare i fallimenti russi, causati dall’assenza di leadership, strategia, armi moderne, munizioni ad alta precisione.

La Cina potrebbe prendere appunti per un’invasione dell’isola autonomista?

Credo che la Cina ragioni indipendentemente dall’esito della guerra in Est-Europa. E sono convinto, spero di aver ragione, che finora la Cina sia ancora impegnata a risolvere la questione di Taiwan in pace. Perché accada, l’Occidente deve fare la sua parte.

Da dove si inizia?

In una parola: deterrenza. È necessario che i partner nella regione scaccino da Pechino anche solo la tentazione di una soluzione militare. Anche l’Europa deve premurarsi che alla guerra in Ucraina non segua un conflitto in Asia orientale. Con buona pace dei politici che parlano di un “problema lontano”. Se scoppia la guerra a Taiwan, l’onda d’urto colpirà duramente l’economia europea.

Chiudiamo sull’Italia. Draghi regge ma la maretta nella maggioranza è destinata a salire in vista delle elezioni politiche. Quanto conta la stabilità italiana per la causa ucraina?

Molto. L’Italia può contare un presidente del Consiglio che è un’autorità riconosciuta nel mondo. Un credito che le ha permesso finalmente di ricoprire in Europa il ruolo che le spetta e che puntualmente le è negato dall’instabilità dei governi. Oggi è nel gruppo di testa dell’Ue come è giusto che sia. Draghi deve resistere più che può.


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