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La Nato si allarga e la Difesa europea rallenta. E l’Italia?

Mentre la Nato adotta il suo nuovo Concetto strategico, alle prese con la minaccia russa e, più a Oriente, cinese, la Difesa europea rallenta. Tutto questo ha profondi impatti anche in Italia, i cui richiami all’instabilità del fianco sud restano in parte disattesi e che, all’interno, vede il dibattito pubblico sempre più legato alla “pancia” del Paese. Il commento del generale Mirco Zuliani, già vice comandante di Nato Act

Passata l’euforia degli ultimi vertici, Nato e G7, forse è il caso di fare alcune riflessioni su dove siamo e dove stiamo andando nell’ambito della Difesa nazionale. Mentre tutti i riflettori sono ancora puntati sul conflitto in Ucraina, molte decisioni sono state prese in ambito internazionale e hanno impatto sulla nostra Difesa e le nostre Forze armate.

Primo tra tutti il nuovo Concetto strategico Nato, che ancora una volta privilegia la visione geostrategica Usa, purtroppo in mancanza di quella europea. Europa che senza una unitaria politica estera risulta in balìa degli interessi e del potere militare degli Stati Uniti e della sempre più emergente Cina la quale, anche se non ancora definita minaccia, come invece la Russia, costituisce di fatto la maggiore delle preoccupazioni per il fronte occidentale.

La Nato che emerge dal summit di Madrid è sì ancorata all’Europa, alla minaccia della Russia, ma si apre ed estende sempre più nell’ambito geostrategico, con particolare riguardo all’area indo-pacifica. Nel contempo, con l’invito alla Svezia e Finlandia di far parte dell’organizzazione atlantica, si estende sempre di più la linea di confine dove il contatto diretto tra i paesi Nato e la Russia è una realtà di fatto. In termini pratici la maggiore attuale minaccia, la Russia, è alle porte di casa.

Nel contempo l’estensione all’area dell’Indo-Pacifico, in relazione ai comportamenti della Cina, con particolare riguardo alle sue mire espansionistiche e la forza penetrante del suo apparato militare, industriale e commerciale, facilmente fanno intravedere possibili motivi di potenziale frizione, una tra tutte Taiwan.

In ultimo, l’evoluzione della Nato in tutti questi anni, sempre a leadership Usa, ha di fatto creato un’organizzazione che in qualche modo tende a supplire all’immobilismo dell’Onu e ad aggirare il problema dei veti incrociati nel Consiglio di sicurezza.

Per la Difesa europea, passato il periodo delle dichiarazioni a fronte della paura creata dal conflitto in Ucraina, sembra che tutto sia rientrato nell’ambito burocratese di Bruxelles, tante parole ma pochi fatti. Ciò vale sia per gli aspetti militari veri e propri, sia per quelli dell’industria della difesa, dove non sta emergendo una chiara e univoca visione e dove anche le ultime scelte in ambito di acquisizione di nuovi sistemi d’arma hanno ancora una volta evidenziata o la dipendenza dagli Usa oppure la mera difesa dell’apparato industriale nazionale da parte dei vari paesi membri.

Delineato il quadro generale, quali impatti sull’Italia? Purtroppo a parte belle parole e alcune affermazioni alquanto generiche sul fianco sud della Nato, il nostro interesse primario dell’area mediterranea e del Nord Africa ancora una volta è stato in parte disatteso. Sono anni che l’Italia si spende per far recepire in maniera reale questa necessità, ma di fatto, concretamente, ben poco abbiamo avuto di ritorno. Nel contempo il dibattito sulla scena nazionale, scatenato dagli aiuti militari all’Ucraina, ancora una volta ha fatto emergere il disallineamento tra ruolo dell’Italia nella Nato, nell’ambito geostrategico mondiale e la “pancia della gente”. A seguire il pubblico dibattito sul conflitto in Ucraina si passa dal “non sono affari nostri”, al “se la sono voluta”, al “perché non si arrendono subito?”, fino al “ora abbiamo la crisi economica, abbiamo altro a cui pensare”.

Insomma, dov’è quella coesione d’intenti e di volontà nazionale che sono le premesse imprescindibili per poter anche solo immaginare l’impiego delle Forze armate? Il dramma maggiore in tutto questo non è “la pancia della gente” è la politica che si piega e fa proprie queste esternazioni dimenticando il suo ruolo di dirigere il Paese a difesa dell’interesse nazionale.

Insomma in un contesto come quello attuale, che in qualche modo ci ha portato indietro di settant’anni con un conflitto in corso in Europa, con una Difesa europea ancora al di là da venire e una Nato che si allarga sempre più, portando e aumentando i potenziali punti di contatto, frizione tra il Patto Atlantico e i paesi avversari, in Italia sembra ancora che nessuno si sia reso conto che noi siamo già potenzialmente in situazione di conflitto e d’impiego delle nostre Forze armate. Lo siamo perché membri della Nato, perché l’articolo 5, quello della difesa collettiva, prevede che se la Lituania, la Bulgaria o la Finlandia venissero attaccate, come successo all’Ucraina, noi non potremmo disquisire se sono “affari nostri o meno”, noi avremmo l’obbligo d’intervenire con tutti gli altri paesi Nato. Nel nostro aderire all’Alleanza Atlantica questo è quello che abbiamo accettato fin dall’inizio.

Purtroppo l’impressione che emerge dall’attuale dibattito è che la maggior parte dell’opinione pubblica preferisca ignorarlo: sì, possiamo contare, forse, di difenderci se venissimo attaccati a casa nostra, se fossimo colpiti nei nostri cari e nei nostri diretti interessi, ma altrimenti, siamo sicuri che proprio dovremmo farlo? Siamo sicuri che ci convenga? E magari qualcuno direbbe arrendiamoci subito, così finisce in fretta e ricominciamo una vita normale.

Ma allora se questo è parte del pensiero corrente dell’opinione pubblica, alimentato in tal senso da una parte dei media e se parte della classe politica tende a seguire l’umore dell’opinione pubblica più dell’interesse nazionale a cosa servono le nostre Forze armate? A una specie di Protezione civile che interviene nelle grandi calamità, all’ordine pubblico nelle grandi città, a portare via l’immondizia quando nessun altro lo fa?
Allora è giusto ricordare che le Forze armate esistono per la difesa del Paese, e che difendere il Paese vuol dire combattere, e pertanto addestrarsi a questo ed essere dotati di tutto quello che è necessario. Questo è quello che fanno le Forze armate tutti i singoli giorni, in silenzio, con sacrificio e anche a costo di vite umane.

Sì, si tengono pronte a difendere anche quelli che oggi dicono “non sono affari nostri”, ma vorrebbero la certezza che qualora dov’esse succedere di andare a combattere per il nostro Paese, come è già accaduto in giro per il mondo, il popolo italiano sia con loro e faccia sentire tutto il suo supporto. Nel mentre la politica sia chiara nelle sue decisioni e persegui con coerenza gli impegni internazionali già assunti e operi per assicurare alle nostre Forze armate tutto ciò di cui hanno bisogno.



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