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Un’agenda per la vita, adesso. La crisi della natalità vista da Mastrapasqua

Il tempo di una strategia per chi voglia governare responsabilmente il nostro Paese, senza condannarlo all’estinzione, è arrivato. Il primo traguardo è recuperare all’inizio del prossimo decennio la quota di mezzo milione di nascite l’anno. Il commento di Antonio Mastrapasqua, che legge anche il libro di Cifone e Pirone

Stabilmente sotto quota 60 milioni. Secondo i primi dati provvisori, al 1°gennaio 2022 la popolazione è scesa a 58 milioni 983mila unità, cioè 1 milione 363mila in meno nell’arco di 8 anni. Lo rileva l’Istat nel rapporto annuale 2022 diffuso pochi giorni fa. Il crollo delle nascite si è protratto nei primi sette mesi del 2021 per poi rallentare verso la fine dell’anno. Secondo i dati provvisori per il primo trimestre 2022, a marzo il calo raggiunge il suo massimo (-11,9% rispetto allo stesso mese del 2021).

Ma il dato demografico non è utile solo per aggiornare gli annuari statistici. Le nubi sul futuro – strettamente connesse alla denatalità certificata – si allungano a tutta la società italiana, alla sua capacità di ripresa economica e di protezione sociale. Attualmente per ogni 100 minori under 15 ci sono 188 over 65, 306 nella proiezione per l’anno 2059. Le persone anziane non autosufficienti, 3,8 milioni, sono destinate ad aumentare in modo esponenziale in parallelo alla crescita degli over 80 anni. Meno figli vogliono dire meno occupati, quindi economia più debole e contribuzione (fiscale e previdenziale) più bassa con le conseguenti fragilità di tutte le prestazioni assistenziali. Il welfare non sarà più quello che abbiamo imparato a sfruttare.

Eppure, sembra che questa drammatica prospettiva interessi solo qualche giornalista più attento – come Luca Cifoni e Diodato Pirone del Messaggero, che al tema hanno dedicato un bel libro, edito da Rubbettino, La trappola delle culle – e non chi governa il nostro Paese.
Spagna e Italia non hanno ancora recuperato il calo della natalità del 2020. In Francia, dopo la riduzione osservata tra il 2015 e il 2020, nel 2021 le nascite sono state 3mila in più. In Germania, a un calo dei matrimoni nel 2021 è corrisposto un balzo nel numero dei nati, il più alto dal 1997 (a dimostrazione che nuzialità e natalità non sono sempre direttamente proporzionali).

Cifoni e Pirone ci ricordano che in Italia nel 1964 sono venuti al mondo oltre un milione di bambini, mentre nel 2021 siamo scesi sotto quota 400 mila. Ma risalire la china è difficilissimo, perché al di là delle scelte delle italiane e degli italiani tra i 20 e i 50 anni c’è un fattore numerico che gioca ormai strutturalmente contro: proprio il calo demografico dei decenni scorsi, iniziato verso la metà degli anni Settanta e poi divenuto via via più pesante, ha falcidiato il numero dei potenziali genitori contribuendo in modo decisivo ad abbassare ancora il numero delle nascite.

Ecco la trappola, il circolo vizioso di cui siamo prigionieri. Il Paese – nonostante i flussi migratori dell’inizio di questo secolo – da qualche anno sta assistendo alla riduzione del numero complessivo dei residenti: siamo meno di 59 milioni e secondo le previsioni dell’Istat arriveremo a circa 54 nel 2070.

Si può fare qualcosa per invertire questa tendenza? I fenomeni demografici sono per definizione lenti: le conseguenze di un eventuale cambiamento di oggi si vedranno nella loro pienezza non prima di una ventina d’anni. Cifoni e Pirone però, dopo aver descritto lucidamente lo scenario attuale, vogliono dare speranza. Lo fanno proponendo nove azioni che, se attuate tutte insieme, potrebbero aiutarci a invertire la tendenza.

Quasi un’agenda per chi voglia governare responsabilmente il nostro Paese, senza condannarlo all’estinzione. Il primo traguardo è recuperare all’inizio del prossimo decennio la quota di mezzo milione di nascite l’anno. Serve l’impegno dello Stato che deve potenziare i propri sostegni economici alle famiglie (l’assegno unico è un passo avanti ma ancora insufficiente) e i congedi in particolare per i papà. Serve anche lo sforzo delle imprese che nel loro stesso interesse devono entrare in questa partita aiutando con un welfare su misura i lavoratori che vogliono essere genitori. Serve una politica oculata ma lungimirante sull’immigrazione, capace di favorire l’ingresso in Italia di coloro che hanno un solido progetto di vita.

Servono anche alcune svolte culturali: a partire dalla possibilità di porre senza tabù il tema della natalità come risorsa per il Paese. Per troppo tempo “fare figli” è sembrato un progetto arcaico, inadeguato a un Paese moderno. La “liberazione sessuale” – così come le campagne abortiste – hanno messo in secondo piano il valore della nascita, della procreazione, della ricreazione della vita, come se tutto ciò fosse un retaggio del passato da sacrificare nel futuro. Eppure, senza nuove nascite non ci sarà alcun futuro. Dobbiamo seguire l’esempio dei Paesi che hanno creato “vantaggi” alle famiglie numerose. Un cambio di paradigma sociale e culturale che l’Italia – e chi la governa – deve avere il coraggio di fare. Subito.



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