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Conte assalta una Bastiglia (vuota). A perdere è l’Europa

bastiglia giuseppe conte

Ieri era 14 luglio, e il palazzo vuoto era la Bastiglia. Gli uomini e le donne lanciate da Giuseppe Conte alla presa del palazzo simbolo del potere assolutista dei cosiddetti poteri forti che Mario Draghi incarnerebbe, sono entrate per liberare i detenuti. Ma i detenuti non c’erano. Il commento di Riccardo Cristiano

Molti hanno usato, giustamente, la frase conclusiva del primo editoriale de La Repubblica firmato da Eugenio Scalfari per commentare l’attuale situazione politica italiana: “È vuoto il palazzo del potere”. Ma le circostanze ci consentono di vedere uno sviluppo rispetto alla perfetta frase di Eugenio Scalfari. Ieri era 14 luglio, e il palazzo vuoto era la Bastiglia. Gli uomini e le donne lanciate da Giuseppe Conte alla presa del palazzo simbolo del potere assolutista dei cosiddetti poteri forti che Mario Draghi incarnerebbe, sono entrate per liberare i detenuti. Ma i detenuti non c’erano. La mia impressione è che subito dopo si siano accorti che un esercito di soldati in rotta si assembrava dietro a loro. Pronti a entrare nella Bastiglia vuota, dalla quale nessuno poteva essere liberato. Quello che a me sembra l’errore di Conte è tutto qui. Il suo ostentato pacifismo, pauperismo e poi l’ultima metamorfosi, il luddismo contro il termovalizzatore di Roma, contro le trivelle, non ha fatto i conti con l’ultimo trasformismo che non ha notato: i detenuti di domani corrono verso un penitenziario vuoto.

Il penitenziario, la Bastiglia, infatti, rischia di essere l’ultimo rifugio di un Continente che non riesce a capire che quella in atto è una guerra contro l’Europa. I pacifisti, i bellicisti, gli interventisti, le anime belle, hanno capito ma si rifiutano di prendere atto che la guerra è qui, non tanto o soprattutto in Ucraina. Da una parte qualcuno vuole chiaramente trasformare il nostro continente in una testa di ponte contro i Brics che prima o poi diventeranno la sola lettera C, cioè la Cina. Lo previde l’uomo che si inventò questa fortunata sigla, Jim O’Neil. La storia gli sta dando ragione. Quanti Paesi stanno chiedendo di entrare nei Brics? Personalmente ho perso il conto. Per fortuna ieri Biden ha partecipato a un incontro da remoto con il leader indiano, insieme ad altri. Segno che non tutto è perso. Ma se non si lavora per invertire la tendenza dall’altra parte prevarrà chi pensa di unire l’Eurasia sotto l’estensione parallela dei popoli slavi e turcofoni. Non avere a che fare con l’Unione europea è vitale per questo progetto, come ridurre l’Europa a testa di ponte trans-atlantica contro i Brics (presto riassumibili in Cina) è fondamentale per chi propugna l’altro progetto.

Se Giuseppe Conte avesse pensato un po’ di più a quelle parole pronunciate da Mario Draghi in apertura di incontro con Biden alla Casa Bianca (“i popoli europei desiderano la pace”) avrebbe capito che in gioco non c’era tanto il reddito di cittadinanza, ma la cittadinanza stessa: quella europea. La vera prospettiva che uno di questi due disegni si realizzi la elimina. Tenendo insieme Macron e Sholtz, Mario Draghi stava riuscendo ad allontanare entrambi, con il suo atlantismo morbido. L’ovvio sviluppo di questa visione è tornare a un’Europa che si apra a una russa post-imperiale.

Ragionare è difficile a ridosso di elezioni: sono le pulsioni del proprio “particulare” a dare vita facile ai leader. Ma io non avevo mai visto una proposta di politica economica che indicasse le uscite senza dire una parola sulle entrate. Spendiamo così, trovando così le risorse necessarie. Lo scostamento di bilancio per una Paese che si appresta a contrarre un enorme debito e che deve fronteggiare una guerra ormai sul suo territorio non sembra una soluzione geniale. Anche perché ora a chi lo chiederà lo scostamento di bilancio? Alla trojka?

Ritorno così alla Bastiglia vuota. Il rischio più grave è sempre quello di confondere la realtà con la percezione della realtà, il problema reale con quello percepito, che i venditori di paure promuovono a man basse. Siamo in guerra, la guerra per o contro l’Europa: ovvio che ci si trovi in un’economia di guerra. Da tempo il nostro problema è quello di un Paese a corto di manodopera, dove per la prima volta le persone che vivono sole superano quelle che vivono in coppia. Ma la realtà che noi abbiamo percepito dal 2015, cioè da sette anni a questa parte, è che il il nostro problema era l’invasione da parte di chi voleva a rubarci il lavoro. Più che un’inesistente scontro di civiltà, quello che divide i buoni dai cattivi, c’è lo scontro di emozioni di cui ha parlato Dominique Moïsi: l’emozione asiatica, che il futuro sarà loro, l’emozione islamica, di essere umiliati, e l’emozione europea, di avere i propri privilegi, o le proprie conquiste, in discussione. Oggi in gioco c’è addirittura l’Europa, non più le conquiste. Meglio capirlo.

Quindi il nostro problema è la guerra in atto per l’Europa, mentre noi percepiamo quella per l’Ucraina, che è solo l’epifania di questa guerra. Roma conta ancora un po’ più di Kiev, anche senza termovalizzatore. Ma se non si capisce di essere in guerra si finisce col cercare rifugio alla Bastiglia. Siamo già tutti al fronte, l’esercito è scarso e le truppe avversarie molto forti. La guerra per l’Europa si può vincere, perché tutto sommato è una guerra che non richiede armi, ma fiducia in un’idea che è un sistema. Ma serve consapevolezza. Questo è il motivo di fondo per cui ogni populismo spacciato per populismo di “destra” o di “sinistra” è semplicemente una forma di irresponsabilità. I naufraghi ubriachi finiscono presto le loro scorte di alcolici.



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