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Berlusconi e la giornata più lunga della Repubblica

Ieri si è celebrata quella che possiamo definire la più lunga giornata della Repubblica. La Corte di Cassazione, chiamata a decidere sulla correttezza del lungo processo a Silvio Berlusconi, di fatto ha dovuto decidere non solo sui delicatissimi e contraddittori rapporti tra politica e magistratura, ma anche sulle sorti del governo in carica, retto dalle larghe intese, e sul futuro dell’Italia.

La strategia difensiva, all’attacco per i primi due gradi di giudizio, è divenuta ragionevolmente cauta e perfino sotto tono in questi ultimi mesi. È chiaro che ciò non è stato soltanto effetto della linea processuale dell’avvocato Coppi, ma dettata anche dal buon senso.

Alla fine, in tarda serata, la sentenza finalmente è arrivata.

La Corte ha confermato la condanna data in appello, stabilendo cioè che Berlusconi è colpevole del reato di frode, ma ha rimandato la decisione sull’interdizione dai pubblici uffici al tribunale di Milano. Il leader del centrodestra, già fondatore di Forza Italia, il personaggio che ha coagulato attorno alla propria leadership l’opposizione al fronte di sinistra, incredibilmente salvato dalle inchieste di Mani Pulite, è stato dichiarato un fuorilegge.

Adesso conviene interrogarsi sul significato politico che questo parere avrà per tutti noi.

Una prima osservazione riguarda il fatto di oggi. La magistratura, sia pure rimandando la decisione sui pubblici uffici, ha optato per la compattezza d’apparato. Non sono stai rilevati motivi di annullamento e di negazione della legittimità. Berlusconi è stato dichiarato legalmente colpevole, quindi senza eventualità che sia possibile considerare il suo profilo compatibile con il diritto.

Le conseguenze sono di straordinaria gravità. Da un lato, infatti, è verbalizzata la contrapposizione drastica tra una parte del popolo italiano, che vede rappresentato nella sua persona la propria volontà, e la legalità repubblicana. Dall’altro, si stabilisce che vi è una parte consistente della maggioranza di Governo che è retta da dei rappresentanti politici, ministri e sottosegretari, che sono espressione di questa illegalità.

Sappiamo bene, e la cosa è stata ripetuta più volte, che da parte del Pdl non ci sarà, almeno potenzialmente, nessuna ragione per chiamarsi fuori dal Governo. In fondo, la tesi da sempre sostenuta che l’Organo di giurisdizione è espressione politica di una posizione di contrasto al berlusconismo ha trovato solo una sua conferma solenne. Nulla di nuovo se non le gravissime sanzioni che riguardano l’imputato.

La palla diventa rovente, invece, in casa PD, dove gli effetti di una cavalcata giustizialista durata vent’anni hanno adesso gli effetti masochisti di una schizofrenia deflagrante e autodistruttiva.

Come potranno giustificare a se stessi, intendo alla maggior parte dei propri elettori, che stanno al Governo con il sostegno di un criminale? Come poter pensare che la stessa condivisione dei destini del Paese non renda adesso palesemente assurda la campagna giudiziaria compiuta contro il centrodestra?
Il risultato che emerge è un clamoroso rafforzamento del PDL e del centrodestra nella propria identità politica. Quale che sarà il destino di Letta, quale che sarà la posizione di Renzi e degli altri gruppi di potere della sinistra, è certo che il conflitto assumerà i contorni di una maggiore e forse definitiva polarizzazione.

Un centrodestra che ha sempre contestato la legittimità della magistratura rossa e che ha sempre manifestato la preoccupazione per il connubio tra la sinistra e alcuni giudici, si trova a oggi a essere condotta da un leader che è condannato in sede definitiva per un reato che non lo vede esplicitamente coinvolto, oltre ogni ragionevole dubbio.
Urgente diventa pertanto difendere la libertà popolare. Forse ancora di più, finché restiamo in democrazia, difendere lo Stato democratico davanti ad ingerenze che sono finite per cancellare negli anni il mandato elettorale e calpestare la volontà dei cittadini.

Se Bettino Craxi decise per l’esilio, se Giulio Andreotti fu costretto solo a un temporaneo martirio, per Berlusconi no, ci voleva qualcosa di più. Essendo il consenso ancora in atto, in definitiva, era necessario giungere a immobilizzare legalmente la sua forza e la sua legittimità.

La mobilitazione contro questa chiusa giustizialista dovrà avvenire necessariamente, resti o non resti in piedi l’attuale Governo di emergenza. Una mobilitazione calma ma ferma che ascriva al vertice delle occorrenze democratiche nazionali una riforma complessiva del potere giudiziario.



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