Se un Paese sa passare dallo scontro diretto e armato con l’Iran all’invio di un ambasciatore vuol dire che quel Paese, con tutti i suoi limiti, guasti e problemi, ha ripreso a fare politica. Non tutto è oro quel che luccica, ma…
La visita di Biden in Medio Oriente ha portato un annuncio di enorme portata, poco notato. Gli Emirati Arabi Uniti si apprestano a nominare un loro ambasciatore a Tehran. La notizia è enorme e sposta ad Abu Dhabi la capitale del mondo arabo sunnita. Non è più Riad a dare le carte, ma il suo rampante alleato. Avere un ambasciatore in Israele e averne presto uno a Tehran è un unicum nella regione. E se si considera che le intelligence convengono nel dire che gli attacchi missilistici con droni contro Dubai sono stati dei ribelli Houthi yemeniti ma partiti da territorio iraniano si capisce l’enormità della svolta emiratina. Gli arabi tornano a fare politica, da Abu Dhabi.
Non a caso il fatto più importante accaduto durante il viaggio di Biden in Medio Oriente è stato promosso da loro: l’incontro da remoto tra il premier israeliano, il presidente degli Stati Uniti Biden, il presidente degli Emirati e quello indiano. L’unica novità politica che va in un’ottica non di scontro tra Brics e Occidente ma di incontro, per di più a forte trazione mediterranea e tecnologica, è questo.
Il protagonismo emiratino non va preso come una “perla”. Gli orrori di Abu Dhabi sono enormi, in termini di violazione dei diritti umani e molto altro. Ma una capacità di governo e visione gli arabi non la dimostravano da anni.
Gli Emirati trainano da tempo l’economia del Golfo nel mondo dell’immagine. In modo a dir poco disdicevole. Oggi l’immagine conta più della realtà e i loro investimenti nel mondo dello spettacolo e dello sport sono pari a quelli del grande rivale, il Qatar, che si è comprato la Fifa. Se prima però la partita era a due e il Qatar poteva solo pensare a sopravvivere tra i giganti vicini, gli Emirati Arabi Uniti sono un alleato leale di Riad, interlocutori del mondo.
E ora anche portatori di una visione che comprende il Vaticano, visto che proprio ad Abu Dhabi è stato firmato lo storico documento sulla fratellanza umana da Francesco e l’imam di al-Azhar. E’ di qui che si può cominciare a parlare di un altro islam? Processo lungo, ma la recente conferenza sulla bioetica svoltasi proprio negli Emirati ne dà conferma. Se solo Timor Est ha assunto quel testo come testo scolastico, sarebbe interessante capire perché l’Europa non faccia altrettanto. Visto che Abu Dhabi è sede del prestigioso Consiglio degli Anziani dell’islam, se l’Europa uscisse dalla sua ossessione di unicità della scelta atlantista e proponesse proprio agli Emirati un’iniziativa che portasse nelle scuole mediterranee quel testo potrebbe trovare orecchie attente.
Se un Paese sa passare dallo scontro diretto e armato con l’Iran all’invio di un ambasciatore vuol dire che quel Paese, con tutti i suoi limiti, guasti e problemi, ha ripreso a fare politica. Non tutto è oro quel che luccica tra Abu Dhabi e Dubai, anzi. Si vede un pragmatismo senza principi, un realismo avventuristico. Ma i fatti di questi giorni sono anche di apertura. E le aperture vanno sempre viste e possibilmente colte come tali.