Occorre un salto politico da parte delle forze che compongono la maggioranza affinché Mario Draghi possa prendere in considerazione la possibilità di restare in campo, continuando a guidare l’Italia ora e forse anche in futuro. Ecco quale secondo Raffaele Bonanni, già segretario generale della Cisl
Mi sono sentito a disagio quando ho appreso delle dimissioni di Mario Draghi provocate dal ricatto esplicito del Movimento 5 Stelle, con tanto di ultimatum poggiato su alcune richieste al governo di cui pur sono parte integrante. Le richieste rese note contrastano con la strategia governativa relativa alla crisi energetica di emergenza con il veto ai rigassificatori, ai termovalorizzatori, alle estrazioni di gas in Adriatico, come sul mantenimento in vita del reddito di cittadinanza che sinora è costato più di 40 miliardi senza che abbia prodotto un solo posto di lavoro, e poi si riproposto il discusso superbonus, senza citare il tema pseudo pacifista antieuropeo che comunque era già noto.
Una situazione che possiamo definire irresponsabile e anomala per un Paese evoluto, considerando i tanti importantissimi dossier che impegna il governo in relazione alla parola data alla Ue. In questi giorni, pensando a cosa possano pensare altri popoli europei del nostro perenne disordine, mi sono risuonate nelle orecchie le affermazioni ironiche dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, il quale con sorrisetti ricambiati da Angela Merkel, e nella ilarità generale della sala gremita dai giornalisti disse: “Ils sont italien”. Era l’autunno del 2011 e ridevano delle promesse del governo Berlusconi che per l’ennesima volta comunicava solennemente l’intenzione di varare riforme per arginare l’incombente default italiano.
Quelle intenzioni furono accolte da sarcasmo generale: tutti in Europa erano convinti che non sarebbero state fatte in quanto per esperienza consolidata, da lustri cambiavano i governi ma non le intenzioni di prendere il toro del debito per le corna. È evidente che ieri come oggi riaffiora il carattere distorto che ha ormai pervaso gran parte degli schieramenti politici: la prevalenza assoluta dell’interesse immediato da tramutare in impieghi di denaro pubblico da distribuire a casaccio agli elettori a scapito degli interessi generali, al costo dell’inarrestabile declino. Siano giunti a tali esagerazioni nei comportamenti sciatti, che i peccati della politica della Prima Repubblica appaiono veniali rispetto a quello a cui assistiamo oggi.
Il Movimento 5 Stelle ha commesso certamente un altro errore gravissimo, ma c’era da aspettarselo da chi è nato da propositi incompatibili con una economia di mercato ed ostile alla democrazia liberale. L’idea poi che basta raggiungere la stanza dei bottoni per poter distribuire nei modi più disparati denari dei contribuenti come atto risarcitorio per non bene precisate politiche a favore dei poveri è da collegare solo alla esperienza scellerata tardo peronista del Venezuela di Maduro. Da tempo le forze popolari e progressiste dovevano comprendere il salto nel buio nell’allearsi con chi è contro ogni cosa ragionevole. Ora si cade dal pero, ma è pura ipocrisia: il M5S è persino riuscito a fiaccare quelle poche riserve riformatrici presenti nell’alleanza, come si è visto nei 2 governi Conte, e come si è notato anche in alcuni scivolamenti manifestati anche con il governo Draghi.
Anche il centrodestra di governo nei fatti ha partecipato con singoli leader al polverone della instabilità in più occasioni, pur riconoscendo ai governatori e ai ministri di questa parte di aver avuto comportamenti responsabili e fattivi. È parso talvolta ci fosse una staffetta organizzata tra interforze, unite a lanciare colpi ai fianchi di Draghi per metterlo in difficoltà ed indebolire la sua leadership. Dunque, credo che Draghi si sia dimesso per la “nuora”, ma credo abbia voluto rivolgersi anche alla “suocera”. Bisogna condannare senza giri di parole l’attentato gravissimo, commesso perché non è più tollerabile che si lasci Draghi a sbrigare gli affari di Stato, mentre più capi di partito organizzano il malumore nel Paese; ognuno agitando ogni giorno in Parlamento e nel Paese la propria bandieruccia.
È sconcertante per un governo di unità nazionale che i partiti non alzino mai il loro vessillo sugli impegni per lo sviluppo, ma al contrario scommettano sulle cosucce loro di relativa importanza e comunque di divisione per la compagine governativa di unità nazionale che dovrebbe in quanto tale rappresentare la voglia di reagire del Paese intero. È chiaro che la permanenza nel governo di Draghi è necessaria ora e anche dopo le elezioni, per chi ha un approccio realistico e responsabile sull’itinerario obbligato per i prossimi anni. E se potesse andare così, credo che Draghi potrebbe in extremis considerare la possibilità di continuare a dirigere il governo italiano almeno fino alla scadenza della legislatura.
Ma le forze politiche di maggioranza dovranno dichiarare con nettezza che il programma di governo e i temi individuati dovranno essere gli unici punti di discussione e di impegno di ciascuno, se si vuole davvero ottenere un cambiamento e salvare la nostra claudicante reputazione internazionale che vale moltissimo in questi frangenti. Questo è il salto politico da fare con la guida straordinaria di Draghi. Lo chiedono i cittadini stufi dei teatrini dannosissimi per il loro futuro, i sindaci più responsabili, gli imprenditori e i sindacati più consapevoli.