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Morto padre Diego Fares, inseparabile compagno di viaggio di Bergoglio

Con padre Diego Fares se ne va un sorriso intelligente e affettuoso verso l’umanità intera. Quel che mi dispiace è che non abbia avuto il tempo per andare nel Libano da cui parte della sua famiglia veniva e che mi aveva detto avrebbe visitato volentieri dopo la pandemia. Il ricordo di Riccardo Cristiano

Con padre Diego Fares, scrittore della Civiltà Cattolica, non è solo la Chiesa a perdere molto, ma questo nostro tempo difficile, che di persone come lui aveva chiaramente bisogno. Instancabile nella contagiosità del suo buon umore e della sua apertura al prossimo, padre Diego ha fatto conoscere molto del suo amico più caro, padre Jorge, come diceva che tanti argentini ancora chiamino papa Francesco. Le curve e la sostanza di un pensiero profondo, molto più di quanto a volte si dica, sono più conosciute nel mondo anche grazie a lui, il miglior depositario della storia umana e intellettuale di Bergoglio da prima che divenisse arcivescovo di Buenos Aires. Ci vorrebbe un intellettuale per presentare l’opera di padre Diego Fares, un credente per raffigurare la limpidezza del suo sacerdozio. Io posso ricordare la sua sorprendente umanità, quella naturale capacità di vivere e diffondere il buon umore, che gli è rimasta addosso, inseparabile, anche negli ultimi anni, tormentati dal male che lo ha stroncato troppo presto. Il buon umore, ho appreso leggendo i suoi libri, è una delle dieci qualità che padre Jorge consigliava ai suoi sacerdoti. E pensando a tanti volti sempre accigliati, si capisce perché quella bergogliana sia proprio una rivoluzione; se il termine non fosse stato abusato per altre storie io direi una vera “rivoluzione culturale”.

Come tanti giornalisti, meno di molti altri, anch’io ho potuto avvicinarmi al suo affetto per padre Jorge, chiedergliene spiegazioni, e capirne un po’ di più grazie alla sua capacità di raccontarlo, entrare nel suo senso autentico. Una lezione per me molto importante è stata quella sugli anni lavorativi di padre Jorge, quelli che gli hanno consentito di formarsi nella vita, non fuori da essa, o separatamente. Così mi sono convinto che loro, padre Jorge poi Francesco e lui, conoscono il mondo perché conoscono il modo di essere e pensare di chi lo vive. Ascoltarlo mi ha indirizzato con semplicità e profondità alla lettura di un pontificato che è stato la colonna sonora della sua vita. Solo padre Fares poteva farmi capire il per me non facilissimo testo inedito di Francesco che lui ha presentato e commentato su La Civiltà Cattolica. E cosa ho capito? Che Francesco ha sempre avuto un problema; Voltaire, certamente un grande, ma da tanti amato senza conoscerlo benissimo: quel testo, senza mai citare Voltaire, mi ha fatto capire che di Voltaire a Francesco non è mai piaciuto il motto, “tutto per il popolo, niente con il popolo”. Il motto della vita del padre Diego che ho conosciuto io e attraverso il quale ho immaginato l’attuale pontefice per me è sempre stato “tutto con il popolo”.

Scrivo mentre rientro a Roma per essere sicuro di poter essere presente al saluto che gli sarà tributato, senza facile accesso al mio archivio, ma di quel testo inedito del futuro papa Francesco, che padre Fares ha fatto emergere, ricordo con certezza questa frase sui cristiani marxisti: “pensavano di essere gli ultimi cristiani, sono stati gli ultimi marxisti”. L’essenza di quel testo era una spiegazione filosofica, e quindi per me problematica, di perché la realtà sia più importante dell’idea. Ma padre Diego Fares questo affetto nei confronti della realtà lo ha vissuto ogni giorno. Altrimenti non avrebbe potuto coordinare per oltre vent’anni l’Hogar San Josè, cioè la casa degli invisibili, che mi ha raccontato come un ponte tra l’esclusione dei senza fissa dimora e la possibile integrazione.

Dunque con padre Diego Fares se ne va un sorriso intelligente e affettuoso verso l’umanità intera. Quel che mi dispiace è che non abbia avuto il tempo per andare nel Libano da cui parte della sua famiglia veniva e che mi aveva detto avrebbe visitato volentieri dopo la pandemia. Un Hogar San Josè per i profughi siriani nel devastato Libano di oggi sarebbe per me un dovere e lui avrebbe certamente saputo aiutarmi a venire a capo del rovello su come trovare la fiducia per provare ad avviarlo. Ne sono certo per via di un racconto che mi fece e che poi ha scritto, quindi so di poter riportare: quando Bergoglio lo ordinò sacerdote gli chiese: “sei sicuro di sapere quello che stai facendo?” Lui gli rispose: “no”. E Bergoglio di rimando: “meno male”.

È un onore aver conosciuto un uomo come te, caro Diego, e so che questi onori ci diventano più cari col passare del tempo. Ma se l’amicizia è un tesoro in se stessa, la tua amicizia per l’uomo mi ha scosso.



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