Il presidente del Consiglio dimissionario ha detto chiaramente, davanti ai senatori, che qualcuno ha la responsabilità della “inaccettabile” dipendenza energetica dalla Russia. A chi si riferiva? Secondo Gianfranco Polillo bisogna tornare al 2010…
Con chi ce l’aveva Mario Draghi, nel suo atto di accusa (per altro poco notato), durante il dibattito al Senato. “Ci siamo mossi con grande celerità – aveva ricordato – per superare l’inaccettabile dipendenza energetica dalla Russia, conseguenza di decenni di scelte miopi e pericolose. In pochi mesi, abbiamo ridotto le nostre importazioni di gas russo dal 40% a meno del 25% del totale e intendiamo azzerarle entro un anno e mezzo”.
Gli indizi sono evidenti, specie se si osservano le statistiche sulle importazioni di gas, fornite dal ministero dello Sviluppo economico. Il periodo sotto osservazione va dal 2010 ai giorni nostri. Prima di quella data, l’Algeria, con la Sonatrach, era il principale esportatore di gas verso l’Italia, grazie al gasdotto Transmed. Che dai pozzi del deserto (HassiR’mel) ne traversa quasi tutto il territorio, entra in Tunisia per poi immergersi nelle acque del Mediterraneo e riaffiorare a Gela.
Per avere un’idea dell’importanza di queste forniture, basti considerare che nel 1998 esse rappresentavano il 54,2 per cento del totale del fabbisogno italiano. Poi erano progressivamente diminuite fino a divenire, nel 2010, pari al 39,7 per cento. E infine crollare al 12,2 per cento nel 2014. Un piccolo grande crimine, con il senno del poi. Anche perché, nel frattempo, il rimpiazzo con le forniture dalla Russia era stato totale. Queste ultime, nel 2010 rappresentavano il 19,9 per cento del totale. Nel 1994 avevano raggiunto l’apice, con una percentuale del 46,4 per cento. Per poi declinare in modo continuo fino quel 40 per cento, indicato da Draghi.
Chi ha gestito allora il grande cambiamento? L’inversione si manifesta nel giugno del 2011. Quando il pompaggio del gasdotti di Tarvisio (Tag 1 e Tag 2), che trasportano il gas dalla Russia, attraverso l’Ucraina, fa registrare un punto di minima, consegnando solo 869 milioni (standard) metri cubi di gas. Un calo passeggero: visto che a fine novembre il flusso risulterà quasi triplicato. In modo da chiudere l’anno con una fornitura pari a 22.952 milioni di standard. Quasi 5 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Forniture sottratte alla Sonatrach che, nello stesso periodo, diminuiranno di un importo corrispondente.
Più complicato è cercare di capire quando avvenne lo “scippo”. Essendo evidente che tra la firma dei nuovi accordi, e l’esecuzione del nuovo contratto doveva comunque passare un certo intervallo fisiologico di tempo. Nel 2010, Silvio Berlusconi non era solo il presidente del Consiglio, aveva anche assunto l’interim del ministero dello Sviluppo economico, in sostituzione di Claudio Scajola, costretto a dimettersi per la vicenda della cricca Anemone. Quella storiaccia della casa al Colosseo, vicenda dalla quale alla fine era stato assolto.
L’interim durò circa 6 mesi, prima dell’arrivo del sostituto, nella figura di Paolo Romani, allora un fedelissimo di Silvio Berlusconi. Oggi un po’ meno. Un periodo lungo, mentre lo stesso premier sfogliava la margherita alla ricerca di un nome che non voleva uscire: da Marcegaglia a un centrista del partito di Casini. Nel frattempo l’opposizione rumoreggiava, con denunce di immobilismo e di lassismo. Niente di più sbagliato, secondo la risposta dello stesso Berlusconi, in una sua intervista a Il Giornale (3 settembre 2010): “Non è un vuoto, la settimana prossima nuovo ministro”.
Mesi prima (luglio del 2010), per stoppare le critiche, aveva già fatto trapelare la sua intenzione di rivolgersi a Paolo Romani. Lo aveva fatto, secondo quanto aveva scritto l’Huffington Post, al termine di “un incontro a Milano con il presidente russo Dmitrij Medvedev”. Normali rapporti diplomatici, si disse allora. Oggi, non sapremo. Sta comunque il fatto che più o meno a partire da quella data le forniture di gas russo cominciano ad aumentare, anche se, almeno per il 2010, non recuperano il calo che si era registrato nella prima parte dell’anno. Il salto, come già detto, avverrà l’anno successivo. Fino a raggiungere l’apoteosi nel 2018 (48,4% del totale). Salvo poi scendere leggermente a causa del lockdown del 2021 (39,9%).
Dai tempi di Enrico Mattei, l’Italia, per i suoi rifornimenti energetici, si è sempre affidata all’Eni. Che ha curato l’intera filiera: dalla ricerca dei giacimenti di petrolio e di gas, alla relativa estrazione e distribuzione. Lo stesso gasdotto algerino, il cui tratto nel deserto si chiama simbolicamente Gazoduc Enrico Mattei, è di proprietà della società Trasmed SpA, partecipata al 50 per cento tra la stessa Eni e la Sonatrach. Analogamente un tratto del gasdotto che trasporta gas dalla Russia, terminale a Tarvisio, è gestito da una joint venture costituita sempre dall’Eni e dall’austriaca OMV.
Questo per dire che l’amministratore delegato di Piazzale Enrico Mattei, in prossimità del laghetto dell’Eur, non poteva certo ignorare fatti gestionali di tale rilevanza. Nella storia più recente del colosso petrolifero italiano, la carica di amministratore delegato era stata appannaggio di Paolo Scaroni: dal 2005 al 2014, che poi aveva ceduto lo scettro a Claudio Descalzi. In precedenza, dal 2002, lo stesso Scaroni era stato ad di Enel, focalizzando l’attività dell’azienda nel core business energetico. Insomma: una vita spesa in un settore che doveva conoscere come le proprie tasche. E un rapporto con Silvio Berlusconi a prova di bomba.
Per carità nessuna illazione da parte nostra. Anche perché lo stesso Scaroni è uscito indenne da diversi processi. L’ultimo in ordine di tempo: un caso di corruzione internazionale proprio ai danni di Sonatrach. Vicenda che aveva coinvolto la Saipem per un giro di tangenti versate al presidente della compagnia algerina, nonché ex ministro dell’energia Chekib Khelil. Attualmente nell’esilio dorato presso gli States. Era stato l’uomo di Boudeflika, presidente di quella Repubblica per ben venti anni (1999-2019). Prima che quest’ultimo cedesse lo scettro all’attuale Abdelmadjid Tebboune, dopo la breve parentesi di Sabri Boukadoum.
Periodo tormentato: come si vede. Che, tuttavia, interessa poco. Più importante sarebbe capire quel che realmente è successo, in quegli anni, considerati gli sviluppi delle diverse forniture. Quelle russe sono passate dai 14.964 milioni di metri cubi, del 2010, ai 28.988 del 2021. Con un incremento del 93 per cento. Quelle algerine, invece, si sono ridotte del 19 per cento. Scendendo da 27.670 milioni a 22.584.
Sarebbe importante prendere visione delle modifiche contrattuali che hanno portato a quei cambiamenti. Vedere chi ha firmato i relativi documenti. Se poi in quel pacchetto era compreso altro: joint venture, investimenti specifici in altri settori e via dicendo. Senza dimenticare di analizzare quali erano state le motivazioni addotte, per giustificare uno shift di quelle dimensioni.
È chiedere troppo? Lo sarebbe, forse, se fossimo a Report. Ma qui siamo di fronte alla denuncia da parte del presidente del Consiglio, nella sede aulica del Parlamento, di “scelte miopi e pericolose” in un settore, come quello dell’energia, da sempre esposto – come dimenticare l’affare recente dell’hotel Metropol di Mosca – alle vicende più inquietanti. Che meritano la necessaria chiarezza e trasparenza.