Gli eserciti di astenuti alle ultime tornate elettorali sono il prodotto della avversione a questa politica sgrammaticata, sgangherata, senza contenuti. L’intervento di Raffaele Reina
Silvio Berlusconi torna sulla scena dei protagonisti della politica. Ne siamo rallegrati, ci stimolerà nella critica politica. La leggerezza che lo caratterizza donerà brio al palcoscenico del teatrino della politica: statico, grigio, cupo, soprattutto in questa fase ultima del governo Draghi, vero Berlusconi? E poi potrà partorire sempre qualche brillante idea per amici ed avversari, come l’aumento delle pensioni minime a mille euro.
Forse però agli italiani interesserebbe sapere di più se seguirà Putin in politica estera che sta tragicamente distruggendo l’Ucraina o sarà per l’europeismo, per l’atlantismo, per l’Occidente? Molti ritengono che il suo impegno politico non sarà foriero di novità, se non inadeguato come lo fu nel passato, visti gli insoddisfacenti risultati ottenuti dai suoi governi con la Lega Nord. Per non dire della discutibile eredità politica che ha lasciato ai suoi, giovani e anziani, rampolli.
Ignora del tutto che in politica conta chi offre una speranza e non chi chiede riconoscenza. Berlusconi, sostenuto da democristiani, socialisti e laici nel 1994 ebbe la capacità di contrastare la famosa “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto, in nome di una “grande rivoluzione liberale”, e di raccogliere gli orfani del pentapartito. Riuscì ad innestare su quel ceppo i “fascisti” dell’MSI e i secessionisti della Lega di Bossi, oggi di Salvini, e a sconfiggere la sinistra comunista dalle Alpi al Lilibeo. Una vittoria che i moderati aspettavano, dopo i tristi e luttuosi fatti della rivoluzione giudiziaria del 1992/93, fiancheggiata da comunisti e fascisti.
Si sperava che, dopo la vittoria, il sistema politico italiano nato dal maggioritario e dal bipolarismo (farlocco) si avviasse verso un nuovo equilibrio, politico e istituzionale, che consentisse governabilità e stabilità all’Italia. La vera “rivoluzione liberale” non ci fu mai. I contrasti, gli scontri furono tanti tra i vari soggetti del sodalizio, che egli non volle dirimere. Lasciò che la palude diventasse sempre più ampia, senza mai prendere partito. Le cose in seguito peggiorarono dal punto di vista politico, giudiziario, morale. Arrivò il tempo della sconfitta, ma continuò ad esercitare il potere di interdizione, molto redditizio, anche per la ossessiva presenza dei mass-media di sua proprietà, come è ancora oggi.
All’opposizione non ci fu mai nel concreto, sostituiva i soggetti in campo nel partito, in Parlamento, in Europa. Sapeva abilmente tirare i fili. Non poteva essere diversamente, visto che il padrone di Forza Italia era lui ed è lui, in tutti i sensi. Il suo potere ad un certo punto diventò insopportabile, opprimente, ossessivo e alcuni leader, prima Casini e poi Fini, lasciarono il cdx. Iniziò lo smottamento, trasformatosi in frana rovinosa, i cui risultati si stanno concretizzando ancora in queste ore. È utile registrare che il tempo berlusconiano e della destra, come quello della sinistra, per non dire del M5S, si è caratterizzato per opacità, per ambiguità, per opportunismo, per trasformismo ignobile. La guerra della Russia contro l’Ucraina ne è una valida testimonianza.
La gente non ne può più di questa politica vuota, becera, da operetta, caratterizzata da vaniloquio, inconcludente, affaristica, ancor più dopo l’arrivo del comico Grillo con i suoi adepti. Berlusconi, pur perseguendo importanti obiettivi, è stato l’apripista della politica spettacolo, fatta di evanescenza, di effimero, di immagine. Gli eserciti di astenuti alle ultime tornate elettorali sono il prodotto della avversione a questa politica sgrammaticata, sgangherata, senza contenuti. L’Italia ha bisogno oggi di nuove energie per la ricostruzione, partendo dalle macerie che la “seconda repubblica” sta lasciando sul campo.
Altri, magari professionisti della politica, di cui l’Italia ha tanto bisogno, si attiveranno per tirare il Paese fuori da questa terribile crisi, non solo economica, ma culturale, politica e morale. E riusciranno di certo, senza doppi giochi, a mettere sui giusti binari dell’europeismo, dell’atlantismo la politica estera dell’Italia.