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Gli errori che il centrodestra (e Meloni) non deve commettere. La versione di Campi

“Meloni è giovane ma è in politica da anni, ne conosce bene i meccanismi e gli anfratti. Sa fino a che punto ci si può spingere senza farsi male”. E il centrodestra? Nessuno deve pensare di poter imporre scelte o dare le carte senza consultare i partner di coalizione. Conversazione con Alessandro Campi, docente di Storia delle dottrine politiche nell’Università di Perugia

Non capisco cosa vogliano esattamente i critici di Giorgia Meloni, si chiede dalle colonne di Formiche.net il prof. Alessandro Campi, docente di Storia delle dottrine politiche nell’Università di Perugia, a proposito di obiettivi e progettualità. “Se non si desidera una destra fascista – osserva – bisogna accettare che esista, al suo posto, una destra in senso lato conservatrice, come accade negli altri Paesi europei”.

Quali errori dovrebbe evitare di ripetere questo destra-centro rispetto al Pdl?

Nel Pdl Berlusconi pretendeva di comandare e decidere senza ascoltare nessuno. Finì nel modo che sappiamo: con l’allontanamento di Fini, la diaspora lenta di molti berlusconiani (a partire dal delfino a vita Angelino Alfano) e col lento declino politico dello stesso Berlusconi. L’attuale coalizione ricorda quello originaria, quando oltre a Forza Italia e Lega, c’era ancora Alleanza nazionale. Nel frattempo i rapporti di forza interni si sono profondamente modificati, ma il fatto di avere tre partiti alleati e al tempo stesso gelosi della loro autonomia, se da un lato può essere una fonte di tensioni e conflitti, dall’altro li costringerà a mediare e ad accordarsi. Nessuno può dare le carte o imporre nulla, nemmeno Meloni, anche se ha ottenuto dai suoi alleati il via libera per Palazzo Chigi. Il primo accordo riguarderà ovviamente il programma, che si spera non sia – come ai tempi d’oro della propaganda berlusconiana – una fiera dei sogni. Servono pochi punti, ma essenziali e fattibili, senza false promesse. Gli elettori, già abbastanza frustati e nervosi, stavolta non perdonerebbero chi platealmente li prende in giro. La stagione della demagogia populista mi sembra al tramonto. Mi sembra che anche Salvini, con la sua scelta di tenersi lontano da spiagge e discoteche, l’abbia capito.

E cosa deve fare il centrodestra per differenziarsi dai suoi avversari, specie dopo l’accordi siglato da Letta e Calenda?

Non dare l’impressione, come sta appunto accadendo nel centrosinistra, di essere disposti a raccattare qualunque cosa e a utilizzare qualunque argomento pur di vincere il 25 settembre. Lo slogan del centrosinistra è “fermare le destre”: un obiettivo puramente negativo e strumentale. Lo slogan del centrodestra dovrebbe essere “governare l’Italia”: un obiettivo positivo e rivolto al futuro. Insomma, la coalizione composta da Meloni, Salvini e Berlusconi, oggettivamente più compatta e con una lunga storia alle sue spalle, dovrebbe lasciare agli avversari i toni allarmistici e da crociata, per concentrarsi invece sui temi che gli elettori, soprattutto in questa fase storica, sentono come più vicini ai loro interessi: lavoro, costo dell’energia, pensioni, politiche sociali, sicurezza urbana, ecc.

FdI ha virato su uno storytelling basato sul concetto di “conservatori italiani”. Quali i punti critici e quali secondo lei più credibili di questa operazione?

La virata meloniana verso i lidi del conservatorismo in realtà non nasce con questa campagna elettorale: è una scelta strategica e d’immagine fatta già anni fa e sancita dall’adesione del partito ai conservatori europei (guidati proprio da Meloni). Senza contare i rapporti molto stretti che Meloni intrattiene, anche in questo caso da anni, con i repubblicani statunitensi, che se dovesse andare al governo sarebbero sicuramente i suoi principali sponsor a livello internazionale. D’altro canto, non capisco cosa vogliano esattamente i suoi critici: se non si desidera una destra fascista bisogna accettare che esista, al suo posto, una destra in senso lato conservatrice, come accade negli altri Paesi europei. Ciò detto, non è facile essere conservatori in modo coerente e credibile in un Paese che non vanta una tradizione ideologica conservatrice consolidata. Da questo punto di vista quella tentata da Meloni potrebbe anche risultare una interessante scommessa politico-culturale. Tesa appunto a creare una destra totalmente e definitivamente sganciata dall’eredità del fascismo e senza alcuna venatura di autoritarismo. Si tratterebbe di riprendere, ma su basi nuove, il cammino che era stato di Alleanza nazionale.

C’è il rischio che il filo mai spezzato tra Salvini e Conte possa essere, a urne chiuse, un nuovo elemento destabilizzante?

Dipende dal risultato elettorale. Con il centrodestra vincente non capisco quale gioco di sponda Salvini possa mai realizzare con Conte. E in vista di quale obiettivo. Peraltro parliamo di un Conte che rischia di uscire ancora più indebolito dal voto. L’asse gialloverde populista ha avuto la sua chance e l’ha maldestramente sprecata in meno di due anni. Mi sembra un capitolo chiuso. Salvini lo ha capito ed è disciplinatamente rientrato nei ranghi del centrodestra.

Giulio Tremonti, vent’anni dopo, può avere un nuovo stimolo per guidare le politiche economiche?

Anche la politica ha le sue stagioni. È vero che Tremonti può vantare una grande esperienza e una vasta rete di relazioni, ma rimettere la politica economica nelle sue mani sarebbe come tornare al centrodestra di quindici anni fa. Significherebbe che in tutto questo lungo periodo l’alleanza non è stata in grado di far crescere nessuno nelle sue fila e di agganciare nuove energie e professionalità. Sono contrario alla logica della rottamazione, come la intendeva Renzi. Ma anche l’immobilismo e la pratica dell’usato sicuro rischiano di essere un errore. Anche nella scelta degli eventuali membri del governo il centrodestra, se davvero avrà la maggioranza in Parlamento, dovrà dimostrarsi capace d’innovazione. A partire dagli uomini e dalle donne che dovranno rappresentarlo. E che certo non mancano.

Non sarà sufficiente prendere più voti del campo largo: Meloni è pronta come leader e come premier?

Il fatto di essere la prima donna premier della storia italiana è una di quelle notizie che da sola basterebbe per mettere fine alle tante polemiche di questi giorni. Detto questo, Meloni è giovane ma è in politica da anni, ne conosce bene i meccanismi e gli anfratti. Sa fino a che punto ci si può spingere senza farsi male. Immagino conosca anche i suoi limiti e punti di debolezza, ragion per cui avrà l’avvedutezza di circondarsi di persone, non solo fedeli e devote, ma anche capaci e presentabili. Usciamo da una legislatura orribile, che nemmeno uno con l’immagine e la competenza di Draghi è stato capace di condurre alla sua conclusione fisiologica. Ci aspetta peraltro un autunno-inverno, che potrebbe essere, per dirla con un eufemismo, difficile e delicato. La bacchetta magica non ce l’ha nessuno. Per governare, a Meloni come a chiunque altro, serviranno cinque cose: una solida maggioranza parlamentare, la lealtà degli alleati, una buona dose di pragmatismo, un programma di governo credibile sui temi economici e sociali più delicati, il rispetto degli impegni che l’Italia ha già assunto a livello internazionale.

@FDepalo


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