Due anni dopo una delle più grandi esplosioni non atomiche mai verificatesi al mondo, che rese inagibili intere aree della capitale del Libano provocando 214 i morti e più di 7mila i feriti gravi, cosa è cambiato? La riflessione di Riccardo Cristiano
4 agosto 2020. Una quantità impressionante di nitrato d’ammonio, gran parte di un carico inizialmente di 2750 tonnellate, provoca una delle più grandi esplosioni non atomiche mai verificatesi al mondo. 214 i morti, più di 7mila i feriti gravi. Intere aree della città di Beirut sono dichiarate inagibili, soprattutto i quartieri cristiani di Mar Michail e Gemmaize, il porto commerciale della capitale libanese polverizzato.
5 agosto 2020, il Presidente della Repubblica si oppone a un’inchiesta internazionale affermando che lo scopo di questa richiesta sembra quello di nascondere la verità, ma “la giustizia ritardata non è una giustizia giusta, che deve essere immediata, ma ottenuta senza fretta”. Due anni dopo il Libano può fare questo bilancio: è stato rimosso il primo magistrato inquirente su istanza di alcuni politici inquisiti e il secondo, aver per mesi tentato di fargli fare la stessa fine, è stato condotto in una sostanziale paralisi. Il primo a ricordarsi del Libano e del suo tragico anniversario è stato Francesco, che ieri, all’udienza del mercoledì, ha detto ricordando quanto accaduto a Beirut: “Il mio pensiero va alle famiglie delle vittime del disastroso evento e al caro popolo libanese. Prego affinché ciascuno possa essere consolato dalla fede e confortato dalla giustizia e dalla verità, che non può essere mai nascosta. Auspico che il Libano, con l’aiuto della comunità internazionale, continui a percorrere il cammino di rinascita, rimanendo fedele alla proprio vocazione di essere terra di pace e di pluralismo, dove le comunità di religione diverse possano vivere in fraternità”. Nascondere la verità sembra proprio la principale preoccupazione delle autorità politiche libanesi.
Altrettanto evidente è l’assenza di un’azione della giustizia internazionale. L’appello lanciato il 4 luglio dall’ONG Human Rights Watch (HRW) per un’indagine internazionale sull’esplosione del porto è rimasto senza risposta. In un articolo pubblicato su Le Monde, confermato dalla ricercatrice di Human Rights Watch Lebanon Aya Majzoub e dalla direttrice di HRW Paris Bénédicte Jeannerod, si sottolinea l’inazione del presidente francese Emmanuel Macron. Quest’ultimo è stato accusato di “connivenza con la classe politica libanese per evitare qualsiasi internazionalizzazione dell’indagine”, come ha dichiarato proprio Aya Majzoub in un’intervista a Ici Beyrouth, tra i più autorevoli portali di informazione indipendente libanesi.
L’evidenza a oggi sembra questa: il nitrato d’ammonio arrivò a Beirut al tempo della prima fase della guerra siriana e fu conservato nel porto commerciale della capitale, notoriamente controllato da Hezbollah, come l’aeroporto. Che quella montagna di nitrato d’ammonio possa essere stata utilizzata in parte per le azioni militari di Hezbollah in Siria a sostegno del regime di Assad è una delle logiche deduzioni che non può trovare conferma. Così a due anni di distanza da quell’evento, è difficile non ricordarsi che le cronache del 2005 hanno raccontato che quando il premier libanese Rafiq Hariri, prima di essere assassinato da 4 miliziani di Hezbollah condannati dal tribunale internazionale per il Libano, si recò a colloquio a Damasco, da Assad, questi gli avrebbe detto “io ti rompo il Libano sulla testa”.
Ma siccome l’indagine non è solo locale sono emerse delle novità interessanti. Chi aveva comprato quell’enorme carico di nitrato d’ammonio? Una società britannica, la Savaro Ltd, in Georgia, per consegnarlo a una fabbrica di esplosivi in Mozambico, la Fabrica de Explosivos.
La Reuters ha scritto che Savaro Ltd è registrata come società di commercio di prodotti chimici nel Regno Unito, ma è definita una società di comodo. L’anno scorso ha tentato di cancellarsi dal registro londinese, ma un’azione tempestiva dell’ordine degli avvocati libanesi lo ha impedito. Ora la magistratura le ha intimato di rendere noti i nomi degli ultimi beneficiari dei suoi proventi, segreti, come quelli degli azionisti.
È finita poi nel mirino degli inquirenti statunitensi, per iniziativa di alcuni parenti delle vittime dell’esplosione che risiedono negli Stati Uniti, la società società americana-norvegese di servizi geofisici TGS, proprietaria della società britannica Spectrum Geo, che dieci anni fa aveva noleggiato la nave Rhosus, battente bandiera moldava, per trasportare le 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio. Secondo il citato portale Ici Beyrouth l’accusa sostiene che TGS avrebbe stipulato una serie di importanti contratti definiti sospetti con il ministero dell’Energia libanese per il trasporto di attrezzature sismiche dal Libano alla Giordania a mezzo del Rhosus.
Il Libano, ancora per poco sotto la presidenza del leader politico più sconfitto alle recente elezioni politiche, Michel Aoun, si oppone ancora a ogni inchiesta internazionale. Ma il Consiglio dei diritti umani (organo intergovernativo delle Nazioni Unite) avrebbe la possibilità di avviare missioni investigative internazionali, su richiesta di uno Stato o di un gruppo di Stati. Infatti se un gruppo di Paesi membri porta l’istanza al voto nel Consiglio dei diritti umani si procede a votazione anche se lo Stato interessato non è favorevole. La risoluzione va approvata a maggioranza. Ma pochi ci sperano. Il Libano ha già conosciuto un Tribunale Internazionale per l’assassinio di Rafiq Hariri e delle 22 persone che viaggiano con lui sul lungomare di Beirut, a due passi dal Parlamento.
Ma allora il comportamento del presidente francese, all’epoca di Jacques Chirac, fu molto diverso e la risoluzione fu subito votata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Gli ostacoli frapposti per anni al lavoro degli inquirenti furono enormi, come insuperabile il rifiuto delle autorità siriane di farli entrare nel loro Paese. Per avere la prima sentenza contro gli operativi di Hezbollah responsabili dell’attentato ci sono voluti 15 anni. Il tribunale internazionale aveva annunciato il suo verdetto proprio per i giorni successivi del drammatico 4 agosto 2020.
La storia del Libano contemporaneo sembra non potersi liberare del fantasma di Rafiq Hariri e di quel colloquio al palazzo presidenziale di Damasco, dal quale il premier libanese uscì con un braccio legato al collo.