Un patto costruito su un arroccamento. Enrico Letta e Carlo Calenda costruiscono una (poco) gioiosa macchina da guerra contro le destre incappando in un vecchio vizietto della sinistra italiana. Il commento di Francesco Sisci
Un accordo tra il Pd di Enrico Letta e Azione di Carlo Calenda che esclude Italia Viva di Matteo Renzi forse non è il passo più saggio della coalizione di sinistra.
Infatti l’accordo, ufficialmente contro la coalizione di destra di Giorgia Meloni (leader di FdI), è nei fatti contro Renzi. Egli così assurge a tragico e magico Davide contro Golia, e anche se perdesse alle urne, in questa iconografia ha già vinto nell’immaginario.
Renzi non piace ai quadri Pd o a Calenda. Ingombrante, narciso, doppio e triplo-giochista, ha portato il Pd dalle stalle alle stelle e vice versa. Ma Renzi è anche l’uomo che ha fatto cadere il governo di Giuseppe Conte (sostenuto da M5s) e aperto la strada a Mario Draghi premier. Se la cesura del duo Letta e Calenda con Conte è su Draghi, essi avrebbero dovuto recuperare Renzi.
Qui la questione non pare politica, ma personale: per loro Renzi è ingestibile. Ma se è tale non può essere semplicemente rimosso con l’immaginazione, perché, come dimostra Freud, poi tutto il rimosso ritorna con gli interessi. Non è chiaro se questo sia il destino del politico fiorentino, ma certo Letta e Calenda gli hanno fornito un palcoscenico che non aveva ormai da molti anni. Egli appare con questo accordo, ben più della Meloni, l’incubo del duo. Letta e Calenda che non riescono a gestire Renzi in un dibattito interno preferiscono ostracizzarlo.
La stessa cosa è avvenuta contro una roccia della saggezza di governo italiana di sinistra – Arturo Parisi, che da anni marca un dibattito acuto e profondo però solo attraverso i suoi tweet. Al di là di ogni risultato delle urne forse non è un calcolo saggio o astuto. Una sinistra, un paese che taglia i suoi rami più forti, anche se più spinosi e controversi, per attaccarsi a fuscelli, che non riesce ad affrontare un dibattito serio, può avere successo?
Questo è il contrario della grande tradizione politica italiana. La Dc era, in termini attuali, un partito di centro destra che guardava a sinistra. Le cooperative bianche erano in sostanza come quelle rosse, la riforma agraria fu attuata nella bianchissima Basilicata. La divisione vera con il Poi era sull’estero, sull’Urss e la Nato, non sull’afflato interno. E infatti la Dc erose la base elettorale del Pci.
Solo 30 anni dopo il Pci cercò di imitare il suo avversario aprendo agli “indipendenti di sinistra”, uomini come Luigi Spaventa o Guido Rossi che non erano affatto di “sinistra” ma in termini attuali conservatori di destra. Essi aprivano il partito a forze di mercato italiane e atlantiche tradizionalmente estranee alla cultura comunista. In questo il Pci voleva diventare “interclassista” come la Dc.
La tradizione “interclassista” forse è un marchio italiano. Il fascismo mussoliniano era contro il comunismo ma anche contro le “plutocrazie”, e questo era figlio del trasformismo, marchio di fabbrica che spostò i garibaldini Crispi e Nicotera da rappresentanti della sinistra in paladini di destra.
Oggi il Pd ha ereditato “l’interclassismo” Dc e del secondo Pci ma escludendo Conte e Renzi si ritaglia un orto difficile. L’esclusione di Conte era necessaria vista la caduta di Draghi e la spaccatura con Luigi Di Maio, ma quella con Renzi non lo era altrettanto, anzi. L’unico elemento che salda il patto Letta-Calenda è l’arroccamento conservatore della Meloni.
Lei, alle prese con una difficile mutazione dalla vecchia pelle neofascista in conservatore, ha forse difficoltà a fare un doppio salto mortale per gettarsi anche nella tradizione di quell’interclassismo italico che oggi dovrebbe aprirla di più al mercato liberale. Ciò spinge quindi quel mondo liberale, tradizionalmente di destra, invece verso il Pd.
Ma se fra una settimana, 15 o 20 giorni la Meloni aprisse al mondo liberale, il Pd rimarrebbe senza gambe. In effetti si vedono già movimenti in questo senso, con l’intervista del 4 agosto del consigliere della Meloni Guido Crosetto al Corriere della Sera. Qui Crosetto individua i grandi problemi dell’Italia e chiede un patto di responsabilità agli avversari, cosa destinata ad avere un’eco positiva nell’anima liberale del paese.
Senza la sinistra che guarda al M5s, senza il centro di Renzi, Letta-Calenda avrebbero a disposizione solo slogan vaghi e di fatto parchi di clientele. Forse sarebbe poco. Tutto può cambiare e muoversi in mille direzioni in un’estate che comincerà a raffreddarsi mentre la campagna elettorale prenderà calore, ma il duo si è stretto in un angolo.