Dopo il piano di aiuti da 1.200 miliardi dello scorso autunno, il presidente porta a casa un pacchetto da 740 miliardi che porta gli Usa nell’era della transizione energetica. Offrendo nuove occasioni anche per aziende italiane ed europee, grazie a una prospettiva decennale di investimenti. Il commento di Marco Margheri (Wec Italia)
Alla fine quello che contava, come sempre, era il risultato. E il risultato è arrivato, anche se sul filo di lana. Joe Biden ha riportato dalla sua parte gli ultimi due senatori recalcitranti e grazie al voto della vicepresidente Kamala Harris ha portato a casa un piano di tutto riguardo, 740 miliardi di dollari per dare una sonora sveglia a due delle battaglie più importanti per il successore di Donald Trump: la sanità e il clima. Filo conduttore, nemmeno a dirlo, le tasse. Impossibile fare altrimenti visti i problemi strutturali degli Stati Uniti con il deficit e dunque, in ultima istanza, del debito. Le risorse, o meglio il grosso di queste ultime, vanno trovate attraverso una complessa architettura fiscale.
Il pacchetto, che vale poco meno della metà del precedente piano di aiuti, approvato lo scorso novembre e tacciato da molti economisti di essere tra le con-cause della peggiore ondata inflattiva che l’America ricordi dal 1981 ad oggi (il tasso a giugno è volato al 9,1% anche e non solo sull’onda delle aspettative create dalle centinaia di miliardi immesse nell’economia), ha come nemico numero uno proprio il costo della vita.
Attenzione, gli Stati Uniti hanno macinato crescita almeno fino alla fine di luglio quando è uscito il dato sul Pil nel secondo trimestre (-0,9%, ma c’è di mezzo anche la stretta monetaria della Fed) e il mercato del lavoro continua a tirare. Ma per la Casa Bianca era comunque tempo di agire e provare a rendere l’energia un po’ meno cara e svincolarla dagli shock globali, come la guerra in Ucraina.
E allora ecco il più grande investimento sul clima della storia americana. Il voto finale, 51 voti a favore e 50 contrari, è arrivato dopo 15 ore di emendamenti e un’ultima notte di lavoro e segna un secondo vero successo per l’agenda del presidente Biden. L’Inflation Reduction Act, così è stato ribattezzato, ora va all’esame della Camera dove dovrebbe essere approvato senza problemi.
Il provvedimento include uno stanziamento da circa 370 miliardi di dollari per combattere il cambiamento climatico e un’altra pioggia di fondi per ridurre il costo dei medicinali. Le spese previste saranno finanziate con una minimum tax del 15% sulle aziende che realizzano utili annuali superiori al miliardo di dollari, una tassa dell’1% sulle società che riacquistano azioni proprie e con un rafforzamento dell’Internal Revenue Service, l’agenzia delle entrate americana.
Larga parte delle risorse verranno destinate a aziende che ridurranno le emissioni di carbonio. L’obiettivo è dimezzare le emissioni entro la fine del 2030, mentre un’altra parte finanzierà il deficit federale, sempre molto elevato. Il provvedimento “aiuterà ogni cittadino di questo Paese e renderà l’America un posto migliore”, ha chiosato il leader della maggioranza in Senato, il democratico Chuck Schumer.
Sulla portata effettiva del piano clima-inflazione, Formiche.net ha raggiunto a Washington e sentito il parere di Marco Margheri, presidente del World energy council (Wec) per l’Italia. “Si tratta di una grande successo per l’amministrazione Biden. Il piano, infatti, ha una doppia caratteristica, perché mette a sistema energie tradizionali e rinnovabili, dunque la transizione. E guarda al futuro degli Usa con tutte le opzioni tecnologiche possibili. Per questo è a tutti gli effetti una grande conquista per l’America e per il mondo”, spiega Margheri.
“Detto questo, guardiamo ai numeri, che sono straordinari, 370 miliardi solo per l’energia, ai quali dobbiamo aggiungere 100 milioni circa già previsti nel pacchetto da 1.200 miliardi dello scorso autunno. In questi termini la dote statunitense in quota clima non ha eguali nel mondo e certamente questo non può che essere da esempio per molte altre economie avanzate. Ma la vera accelerazione è nell’unione tra energie tradizionali e non. Basta guardare alla componente dell’esplorazione dell’oil&gas”, prosegue Margheri.
Il numero uno del Wec Italy si spinge anche fino alle conseguenze globali legate al piano . “La legacy del piano legata alle vecchie energie ha grande organicità, mentre la parte sulle energie pulite è fortemente innovativa, perché prevede un riassetto generale degli incentivi, anche e non solo alla mobilità elettrica. E attenzione a un altro aspetto, lo sguardo temporale che è decisamente più ampio e guarda ben oltre il 2030. Sa questo cosa vuol dire? Che si dà certezza ai mercati e agli investitori, che verranno certamente attratti dagli Usa e che avranno un campo d’azione molto più largo e la possibilità di pianificare al meglio i propri investimenti. Di questi tempi non è poco”.