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La centralità di un progetto

I venti del cambiamento che soffiano in tutto il nord dell’Africa hanno colto di sorpresa il mondo. Ogni svolta, in ogni Paese, costituisce il frutto di una serie di concause specifiche e peculiari che maturano nel tempo, per lo più a lungo sotto traccia, come cenere ardente sotto un fuoco apparentemente spento, che d’improvviso inizia a scoppiettare.
Le storie e gli eventi che riguardano i singoli Paesi sono dunque unici e irripetibili. E certo, nessun paragone può essere avanzato tra quanto accade nel vicino nord Africa e le istanze di cambiamento che si colgono in Italia. Tuttavia, l’insegnamento di carattere generale che si può trarre è che la politica è in grado di imprimere, o subire a seconda dei casi, accelerazioni inaspettate e repentine tali da cambiare il corso di eventi che fino ad un attimo prima parevano immutabilmente incanalati lungo un alveo certo e ben definito da decenni.
Da quasi vent’anni, ad esempio, l’Italia ha affidato le proprie sorti politiche al bipolarismo. Per quasi vent’anni due soli schieramenti si sono fronteggiati, con toni di scontro e di reciproca delegittimazione purtroppo senza eguali in nessun altro Paese democratico occidentale, rafforzando nell’uomo di strada, come tra i politologi e gli esperti, la convinzione che non ci fosse spazio per altro schema al di fuori di quello bipolare.
Tre anni fa l’Udc ha compiuto una scelta indubbiamente coraggiosa, tanto da apparire ai più incomprensibile e suicida: rompere lo schema del bipolarismo e presentarsi da sola alle elezioni. Si è trattato naturalmente di una scelta convinta e consapevole, anche se difficilissima, motivata dalla necessità di non rinunciare alle nostre idee politiche e alla nostra identità per confonderci all’interno di uno dei due grandi soggetti politici nati con l’intento di semplificare il quadro politico nazionale al punto da ridurlo ad un’offerta bipartitica.
 
A fronte dello scetticismo generale, naturalmente, nemmeno noi potevamo sapere preventivamente se il nostro destino sarebbe stato simile a quello dei combattenti di prima linea. Il rischio di essere spazzati via, magari almeno ottenendo il risultato di aprire un varco per qualcun altro, ma comunque spazzati via, era alto.
A distanza di tre anni, però, i fatti hanno confermato che quella scelta era coraggiosa ma non temeraria. Ma, quel che più conta, era giusta. Nel giro di pochi mesi, gli ultimi, lo stesso mutare degli eventi ha consentito che maturasse nelle coscienze degli italiani la convinzione che il bipolarismo come lo abbiamo conosciuto negli ultimi due decenni è tutt’altro che un dogma intoccabile. Semmai, al contrario, d’improvviso è diventato un intralcio, un sistema in profonda ed irreversibile crisi, al di là del quale si fatica ancora a vedere con nettezza il nuovo approdo ma che, comunque, dovrà essere senz’altro superato se si vuole riallineare l’Italia con il processo di cambiamento che sta riguardando gli altri Paesi più sviluppati e da cui finora ci siamo autoesclusi.
Ed è proprio intorno alla condivisione dell’analisi sulle cause della crisi italiana che si è radicata, in Parlamento come nel Paese, la consapevolezza che di bipolarismo, soprattutto di e per “questo” bipolarismo, non possiamo morire. Lo spazio politico per il quale l’Udc tre anni fa aveva messo a repentaglio la sua stessa esistenza, si è come d’incanto spalancato, consentendo l’aggregazione di forze provenienti dalla stessa implosione del bipolarismo. Su queste basi è nato dunque il Nuovo Polo per l’Italia.
 
L’obiettivo è quello di costruire un’alternativa di governo concreta e credibile per il Paese, di chiamare a raccolta le tante forze sane che finora si sono tenute lontano dalla politica. Si tratta di un progetto che mira a promuovere le più ampie convergenze per pacificare l’Italia.
Ed è un progetto che naturalmente non teme le nuove elezioni. Guarda anzi con fiducia al prossimo appuntamento elettorale, fra tre mesi o nel 2013. Ma allo stesso modo non invoca salti nel buio. I rischi derivanti dalla speculazione internazionale non sono finiti. Ecco perché il nostro primo dovere è continuare a richiamare ad un soprassalto di responsabilità innanzitutto la maggioranza attuale ed il governo. Affinché comincino finalmente a impegnare il loro tempo nella guida del Paese e non nel perenne conflitto, evocando complotti internazionali, disegni sovversivi della magistratura e picconando l’equilibrio tra i poteri dello Stato e le istituzioni, dal Parlamento alla Corte costituzionale.
Ma se anche dovessimo registrare un rinsavimento, sappiamo che questa stagione e questo tempo, che ormai dura dagli inizi degli anni ‘90, dovranno essere al più presto archiviati. E che potremo dire di aver assolto fino in fondo il compito assunto soltanto se saremo riusciti a elaborare e rendere forte e credibile un progetto di modernizzazione del Paese, in grado di rilanciare l’Italia nel panorama internazionale, farla uscire dal guscio di provincialismo e paure in cui si è rinchiusa, e restituire dignità e senso alla sua politica.
 
Parliamo allora di merito, di riforme economiche, di sviluppo, di liberalizzazioni, di tagli degli sprechi e dei privilegi, di famiglia, di valori e tradizioni che formano il patrimonio comune della nostra Italia, di apertura dei mercati, di solidarietà. E facciamoci promotori di un recupero della moralità nella vita collettiva del Paese, raccogliendo gli appelli che giungono ormai da tempo da numerosi ambienti, a partire dal mondo cattolico e dalla Cei. Perché una società amorale è una società destinata all’autodistruzione.
In attesa delle elezioni politiche, all’orizzonte si delinea già un primo banco di prova: quello delle elezioni amministrative di primavera. Se in quella occasione il Nuovo Polo per l’Italia avrà individuato candidature e progetti seri e alternativi a quelli dei due schieramenti tradizionali, capaci di competere e vincere nella sfida per il governo delle città e delle province chiamate alle urne, allora si potrà dire che il Paese è finalmente pronto a girare pagina.


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