Per i rapporti fra Trump e la Russia di Putin, le inchieste a carico dell’ex Presidente in corso negli Stati Uniti potrebbero avere effetti imprevedibili sull’internazionale populista europea, che dall’Italia alla Francia, all’Ungheria, Spagna e Serbia, fa capo a Mosca. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Impeachment più grave di quanto si possa immaginare per Donald Trump. L’intervento convergente di varie inchieste avviate da parte del Dipartimento della Giustizia, dell’Fbi e del Congresso americano delineano la sussistenza di prove concrete.
Già ritenuto un pericoloso “incidente” della storia, i retroscena della probabile definitiva uscita di scena di Trump – a parte i preventivabili colpi di coda dell’ex Presidente – evidenziano quanto la sua permanenza alla Casa Bianca abbia stravolto e messo a rischio l’assetto costituzionale della democrazia americana, soprattutto riguardo alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Mentre il Dipartimento della Giustizia e il Congresso stanno smascherando tutte le ancora inconfessabili iniziative eversive e di rilevanza penale di Trump, dai legami col Cremlino, all’assalto al Campidoglio, all’evasione fiscale, il sipario politico sulla sua “carriera” di leader populista potrebbe prefigurare, per le concatenazioni visibili e sotterranee sviluppatesi nell’ultimo decennio fra Usa, Europa e Russia, un analogo epilogo dei movimenti populisti.
È una connessione che vede sempre al centro la Russia putiniana, perché intanto già il termine di populismo nasce come traduzione della definizione russa riguardante un movimento di comunitarismo rurale legato alla tradizione agraria della Russia. “Il populista è colui che crea una immagine virtuale della volontà popolare” annotava in tempi non sospetti Umberto Eco.
Per la storia, i primi collegamenti fra il 45mo Presidente americano e la patria del populismo risalgono ai due viaggi che Trump compie a Mosca nel 1987 e nel 2013 da semplice imprenditore.
Alle poche cronache sul primo viaggio del tycoon statunitense nell’allora Unione Sovietica e sulla sua permanenza alla Lenin suite del National Hotel, dove notoriamente vi sono più microfoni e telecamere che scale, porte e finestre, si aggiungono i molteplici e imbarazzanti particolari sulla seconda visita a Mosca, quando pretese e ottenne di alloggiare nella stessa stanza d’albergo usata durante la recente visita ufficiale del Presidente Barak Obama.
Secondo autorevoli leggende, le movimentate notti moscovite di Trump finiscono in un “pee tape” con possibili contorni di “influenze” e ricatti vari.
Dopo queste premesse, dalle connessioni anche finanziarie con Mosca si passa direttamente ai sospetti sulle ingerenze e le manipolazioni russe delle elezioni presidenziali del 2016, vinte a sorpresa da Trump sulla favorita candidata democratica Hillary Clinton.
Al successo delle presidenziali americane è collegato l’exploit dei movimenti populisti europei “incoraggiati” da Putin: da Marine Le Pen in Francia, a Matteo Salvini in Italia, da Nigel Farage in Inghilterra a Viktor Orbán in Ungheria, dai sovranisti spagnoli di Vox ai nazionalisti serbi. Un’internazionale populista con baricentro Mosca.
Il resto è storia di questi giorni. “Senza conservatori e senza rivoluzionari, l’Italia è diventata la patria naturale della demagogia”, scriveva cento anni addietro sulla “Rivoluzione Liberale” Piero Gobetti, uno dei meno conosciuti ma davvero più eroici e profetici politici di un’Italia dignitosa e intellettualmente onesta, che preservò fino al dopo guerra lo spirito della democrazia e della libertà di un Paese letteralmente massacrato prima dal populismo sabaudo e poi da quello fascista.
Dalla crisi del Gabinetto inglese del premier Boris Johnson, alla caduta del Governo di Mario Draghi per mano dei Forza Italia e Salvini ed il paravento degli altrimenti abili sovranisti 5 Stelle di Giuseppe Conte, il “cui prodest” é sempre allineato ad una continuità populista o ad imperscrutabili rapporti personali di vecchia data, come quelli fra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. Col Cavaliere a tutti gli effetti antesignano di Trump.
Se in politica come nella chimica, nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, l’avvitamento del trumpismo, con tutte le possibili rivelazioni sulle interferenze di Mosca e la concomitante fine – prima o poi – dell’invasione della Russia di Putin all’Ucraina, potrebbero segnare l’inizio dell’implosione del populismo globale. Anche per via giudiziaria, se vi sono le prove come starebbero accertando le autorità negli Stati Uniti nei confronti di Donald Trump. Perché un’altra caratteristica comune di tutti i populismi, a cominciare da Putin in Russia, è quella di violare sistematicamente le leggi della democrazia e dello Stato pur di conquistare e mantenere il potere.
Come attesta il delirio politico di Alexander Dugin, il filosofo ispiratore del Presidente russo, che si rifà alle idee nazionaliste di Julius Evola. Fondatore del partito nazional-bolscevico, Dugin propugna un populismo che vada oltre la destra e la sinistra e che, a suo dire, Putin ha fatto proprio.