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Ombrina e il gas alle stelle mandano ko la decarbonizzazione. Scrive Cianciotta

Bisogna estrarre più gas, calmierare il peso delle tasse carboniche per chi deve produrre con il metano, moltiplicare i rigassificatori, rinnovare e implementare la rete dei gasdotti per renderla sempre più efficiente. Taccuino per una transizione seria. L’analisi di Stefano Cianciotta, presidente Osservatorio Infrastrutture Confassociazioni

Il nuovo record del gas che ha toccato ieri 321 euro a megawattora, l’arbitrato da 190 milioni di euro vinto dalla Rockhopper con lo Stato italiano per la vicenda Ombrina, il progetto petrolifero offshore davanti alle coste abruzzesi bloccato nel 2016 dal ministero dello Sviluppo Economico, la crescita del turismo a Melendugno, la città del Salento conosciuta anche per l’approdo del Tap, che è la quinta città del Salento per presenze turistiche nonostante i catastrofisti e i profeti del no ne avessero decretato la fine.

Quelli che all’apparenza sembrano essere tre momenti distinti, contengono invece molte correlazioni che, se lette alla luce degli investimenti annunciati di recente dal governo Norvegese (entro il 2030 aumenterà l’estrazione di idrocarburi e di gas) e le trivellazioni in Croazia, ci dicono molto delle scelte poco lucide che Italia ed Europa hanno messo in campo sul tema dello sviluppo energetico.

La Norvegia è il secondo fornitore di petrolio e gas dell’Ue dopo la Russia. “Se l’Europa si impegna a comprare, la Norvegia può sostituire più gas russo”, ha dichiarato a maggio il ministro del Petrolio e dell’Energia Terje Aasland. Un mese dopo, il 23 giugno, l’Ue e la Norvegia hanno annunciato di voler “rafforzare la cooperazione energetica”. La dichiarazione ha posto l’accento sul lungo termine, così come il sostegno alla futura esplorazione delle risorse. “Riconoscendo che la Norvegia dispone di significative risorse residue di petrolio e gas e che può, attraverso la prosecuzione dell’esplorazione, le nuove scoperte e lo sviluppo dei giacimenti, continuare a essere un importante fornitore dell’Europa anche nel lungo termine, oltre il 2030”, si legge nella dichiarazione congiunta. “L’UE sostiene la prosecuzione dell’esplorazione e degli investimenti della Norvegia per portare petrolio e gas sul mercato europeo”.

Come ogni produttore, la Norvegia cerca di assicurarsi la domanda per le sue esportazioni, che l’hanno resa uno dei Paesi più ricchi del mondo e hanno aiutato l’Europa a ridurre la sua dipendenza dall’energia russa. La dichiarazione di cooperazione Ue-Norvegia rafforzerà il mantenimento dell’accesso della Norvegia al suo mercato più importante, l’Europa, che sembra però su questi temi non avere una strategia chiara. Come ha scritto su Linkedin Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione Italiana Nucleare, bisognerebbe avere il coraggio di dichiarare la sospensione della transizione ecologica, che è la vera causa, in ultima istanza, della mostruosa cavalcata dei prezzi dell’energia elettrica (tra cui quelli del gas), cominciata molto prima della guerra Ucraina.

E che ha cause indipendenti dalla guerra. Il prezzo del gas si è impennato perché, in primo luogo, la volontà di decarbonizzare in Europa, osserva Minopoli, prescindendo da quello che faceva il resto del mondo (Cina e India, in primis) ha portato ad una crisi di investimenti sul gas che ha creato, appena è ripresa l’economia dopo il Covid, una crisi dell’offerta di gas. I prezzi si continuano ad impennare, prosegue Minopoli, per la continua volontà di proclamare la riduzione dei fossili, ma continuando a tenere agganciato il prezzo dell’elettricità, che è prodotta anche da fonti non fossili (nucleare e rinnovabili) al prezzo del gas. La guerra Ucraina e i ricatti della Russia che usa il gas come arma di guerra, ha solo aggiunto benzina al fuoco dei prezzi. Si può dire all’Europa che deve abbandonare la pretesa drammatica e costosa di fare la decarbonizzazione in un solo continente.

Pur emettendo meno di Cina e India che ricorrono, tranquillamente, ai combustibili fossili. Bisogna estrarre più gas, calmierare il peso delle tasse carboniche per chi deve produrre con il gas, moltiplicare i rigassificatori, rinnovare e implementare la rete dei gasdotti per renderla sempre più efficiente, sganciare l’elettricità (rinnovabile e nucleare) dal prezzo del gas, realizzare la tassonomia che invita ad investire nel nucleare e nel gas come fonti sostenibili. Il tetto al prezzo del gas più i sussidi ad imprese e famiglia sono palliativi temporanei se non si procede ad una revisione e aggiornamento delle politiche di decarbonizzazione.

In autunno migliaia di piccole imprese saranno decimate dal caro energia. Le Pmi costituiscono l’ossatura del sistema industriale italiano. Difenderle non significa ostacolare il progresso di crescita dell’Europa, come la retorica si affanna a sottolineare. Difendere il sistema imprenditoriale italiano significa aiutare l’economia e l’industria europea, che già ha ricominciato in alcuni settori (tessile ad esempio) a sondare Paesi meno costosi come la Turchia, alla faccia del reshoring e dell’accorciamento delle filiere di cui tanto abbiamo parlato durante il Covid. Nelle prossime settimane su questi temi si giocherà molto del futuro dell’Unione, non solo del nostro Paese.


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