È difficile non concordare con Giulio Tremonti, nell’escludere ogni ulteriore scostamento di bilancio, in solitudine, per far fronte al caro energia. Ciò che invece convince meno è la critica nei confronti di Mario Draghi, ritenuto responsabile di non “aver avvistato o voluto affrontare per tempo una crisi che si stava manifestando in tutta la sua gravità”. L’analisi di Gianfranco Polillo
È difficile non concordare con Giulio Tremonti, nell’escludere ogni ulteriore scostamento di bilancio, in solitudine, per far fronte al caro energia. Il mercato ha già mandato segnali inequivocabili sui titoli del debito pubblico italiano. Non tenerne conto, sarebbe ripetere, seppure in forme diverse, l’esperienza del 2011. Rispetto alla quale, la situazione italiana è migliore per alcuni aspetti, peggiore per altri. Il debito pubblico, dato negativo, è ben più alto, anche se il fenomeno non è stato solo italiano. Nel 2011 era del 119,5 per cento. Dieci anni dopo del 150,8 per cento. Il debito nei confronti dell’estero, dato positivo, è stato, invece completamente riassorbito. Allora superava abbondantemente il 20 per cento del Pil. Oggi i crediti verso l’estero, nonostante il peggioramento di questi ultimi mesi, sfiorano, invece, il 6 per cento.
Questi elementi depongono a favore di una politica finanziaria prudente. Diverso sarebbe il caso se, a livello europeo, si concordasse, di fiscalizzare una parte dei maggiori costi dell’energia, anche in deficit. Meglio sarebbe, ovviamente, coprire i relativi costi, emettendo debito comune, come avvenuto per la Next generation Ue. Ma a volte il meglio è nemico del bene. Ci si potrebbe accontentare allora di una sorta di golden rule per l’energia. Si tratterebbe dell’estensione della logica, che ha guidato il Recovery Fund, le cui risorse sono utilizzabili solo in quei settori che rappresentano “beni europei”. Vale a dire obiettivi (green, digitalizzazione, ecc) che l’Ue ritiene meritevoli di una tutela di natura pubblica. Sarebbe, pertanto, difficile negare che, data la guerra in atto, l’energia non sia degna di appartenere a questa categoria. Una proposta del genere potrebbe acquistare forza, nell’eventualità che il price cup sul gas si rivelasse impraticabile. Sarebbe una soluzione di compromesso per superare gli ostacoli derivanti dalle divergenze di interessi. Merito della delegazione italiana, quello di aver posto il problema della necessità di un intervento europeo, le cui forme finali potrebbero anche essere diverse dal postulato iniziale.
Ciò che invece convince meno, nel ragionamento di Tremonti, è la critica nei confronti di Mario Draghi, ritenuto responsabile di non “aver avvistato o voluto affrontare per tempo una crisi che si stava manifestando in tutta la sua gravità”. La sua controproposta, a quanto è dato da capire, è di “scorporare dai costi l’imposta di fabbricazione e l’Iva”. Ossia “tagliare le imposte sull’energia, con l’effetto di calmierare i prezzi”. L’eccesso fiscale che grava sui prodotti energetici rappresenta un problema effettivo. Secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico, lo scorso luglio, nonostante gli interventi calmieranti del governo, il carico fiscale sulle benzine è stato pari al 43 per cento del prezzo al pubblico. Sul gasolio ha pesato per il 37 per cento. Sul Gpl del 30 per cento. Sul gasolio da riscaldamento del 40 per cento circa. Sul gas stesso, secondo il rapporto dell’Autorità di settore (Arera), nel primo trimestre dell’anno, l’incidenza del carico fiscale è stato a pari al 17,4 per cento. Tutto ciò ha inevitabilmente contribuito a rendere i prezzi sempre meno sostenibili.
Basterebbe allora un tratto di penna per eliminare queste storture? Due le controindicazioni.
La prima è evidente: il costo dell’operazione. Ovviamente rinunciare a quel gettito fiscale richiederebbe coperture finanziare adeguate. Problema tutt’altro che secondario, se si considera che nel 2021 il gettito relativo alle sole accise dei carburanti è stato pari a 23,8 miliardi di euro. C’è solo da aggiungere che un taglio generalizzato avvantaggerebbe, inutilmente, i ceti più abbienti che non hanno certo bisogno di un piccolo ristoro (in relazione al reddito posseduto) a carico del bilancio pubblico. Si dovrebbe ritornare, allora, a manovre di carattere selettivo, come quelle messe in atto dal governo Draghi. In questo caso lo Stato ha rinunciato al maggior gettito derivante dall’Iva sui carburanti, dovuta alla semplice lievitazione dei prezzi. Si poteva fare di più? Forse. Sta però il fatto che il consuntivo dei diversi interventi mostra uno sbilancio di quasi 9 miliardi, a causa dei mancati pagamenti dovuti dalle imprese, che operano nel campo dell’energia, a compensazione degli extra profitti realizzati.
La seconda controindicazioni riguarda gli andamenti di mercato. Il forte aumento dei prezzi dei prodotti energetici, soprattutto del gas, è dovuto allo squilibrio tra domanda ed offerta. Al di là di fatti contingenti, sono state soprattutto le manovre russe, con il taglio delle forniture, a determinare la forte escalation. Che si sia trattato di un vero e proprio sabotaggio è del tutto evidente. Gasprom è costretto a bruciare quel gas che non è disposto a consegnare, per evitare conseguenze peggiori nella gestione degli impianti. Abbassare i prezzi del prodotto finito, azzerando il relativo carico fiscale, non farebbe altro che aumentare ulteriormente la domanda, accentuando lo scarto rispetto alle condizioni dell’offerta. I prezzi finali non diminuirebbero, mentre la parziale o totale fiscalizzazione, se non coperta, darebbe a sua volta un’ulteriore spinta all’inflazione.
Meglio quindi una manovra di carattere selettivo, che aiuti i più fragili, con adeguati ristori, in un ottica che non miri ad un rilancio generalizzato dei consumi energetici, ma ad un loro contenimento. Che è poi la condizione vera, in attesa di giungere ad una più forte diversificazione delle fonti, sia per ridurre lo scarto tra domanda ed offerta, sia per creare, eventualmente, le condizioni per rendere effettivo l’introduzione di un price cup. Questo, quindi, lo scenario che accompagnerà il prossimo autunno. Non sarà facile gestirlo. Ma qualche chance in più l’Italia, e più in generale l’Europa, l’avrà se riuscirà a presentarsi unita, vincendo le pur legittime richieste di ciascun Paese. Del resto c’è una guerra in atto. Ed essa si vince o si perde tutti insieme e solo se ciascuno sarà disposto a fare la propria parte.