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Le inconfessabili verità dell’omicidio Dalla Chiesa

Brandelli di verità e moltissimi interrogativi. Sono molti e inquietanti i misteri che faranno da sfondo alle numerose cerimonie commemorative a Palermo e in tutta Italia per il 40esimo anniversario dell’uccisione del generale Dalla Chiesa. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Zero retorica. Per dare un senso compiuto al 40esimo anniversario dell’omicidio del generale prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa è essenziale ricostruire fatti e contesto di un delitto che, come altri specifici omicidi di mafia, ha una valenza glocal: locale e globale, siciliana e nazionale.

Dall’agguato di via Isidoro Carini a Palermo sono passati esattamente 14.610 giorni, ma la verità storica che emerge da tutti i riscontri è la constatazione che, ad appena tre mesi dall’insediamento di Dalla Chiesa alla prefettura di Palermo, cosa nostra oltre a rispondere alla sfida antimafia abbia “tecnicamente” eseguito un omicidio su commissione. Per conto di chi e perché? “La verità parziale l’abbiamo avuta, ma c’è sempre un pezzo che manca, che rimane fuori e non si può provare in tribunale”, sottolinea in tutte le interviste il figlio del generale, il prof. Nando Dalla Chiesa, in riferimento a killer e mandanti mafiosi ma soprattutto alla nebulosa di mandanti e interessi sovrastanti le cosche.

L’uccisione del generale che aveva sbaragliato le Brigate Rosse e il terrorismo ha un dirompente effetto glocal, locale e nazionale, come i retroscena e i cui prodest dell’assassinio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella (per spianare la strada a Palazzo d’Orleans e seppellire definitivamente il moroteismo) gli omicidi dei superpoliziotti Boris Giuliano e Ninni Cassarà (per bloccare le loro indagini su narcotraffico, riciclaggio e contiguità fra mafia politica esattorie e credito) l’agguato al segretario del Pci siciliano Pio La Torre (lungo la palude degli appalti e la mobilitazione contro gli euromissili) e le stragi Falcone e Borsellino.

Il filo conduttore intuitivo, ma ultimamente sostanziato da varie risultanze investigative, collega l’eventuale urgenza di eliminare Dalla Chiesa ai retroscena del sequestro e dell’uccisione del presidente della Dc Aldo Moro da parte, anche, dei terroristi delle Brigate Rosse. Non c’è solo l’incredibile rinvenimento del memoriale Moro nel covo brigatista di via Montenevoso, a Milano nel 1990 a 16 anni dall’assassinio del leader democristiano, ma la documentazione e le testimonianze riguardanti i colloqui e le richieste del generale intercorse con gli esponenti del governo e i leader politici. Da Spadolini ad Andreotti, da Rognoni a Craxi e De Mita.

È un dato storico che dopo gli ampi poteri che gli consentirono di essere il propulsore diretto del successo della lotta contro il terrorismo, al culmine del convulso travaglio politico e istituzionale del dopo Moro, Carlo Alberto Dalla Chiesa venne inviato praticamente disarmato in Sicilia sulla trincea antimafia. Per essere platealmente trucidato dopo 100 giorni in pieno centro a Palermo, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’autista Domenico Russo. Buio, misteri, depistaggi, ricatti e altri delitti per occultare verità inconfessabili.

Ma in che Italia viviamo se mentre gli anniversari passano stanchi, corrosi dalla retorica e dall’oblio, ancora non si riesce a delineare compiutamente non soltanto le responsabilità dirette, ma neanche il contesto degli anni di piombo e dei delitti Moro, Piersanti Mattarella, Dalla Chiesa, Giuliano, Cassarà, sino alle stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?



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