“Non tutto ciò che è legale è costituzionalmente opportuno”, spiega il prof. Francesco Clementi a Formiche.net commentando la proposta avanzata da Meloni su una bicamerale. Secondo il costituzionalista non va lasciata cadere, ma prima di tutto è necessaria una prova di fiducia: l’assicurazione che le istituzioni di garanzia (Csm e Consulta) verranno rinnovate assieme all’opposizione
È una questione di metodo, prima che di merito. Ne è convinto fermamente Francesco Clementi, costituzionalista, in forze ormai alla Sapienza di Roma come professore ordinario di Diritto pubblico comparato presso la Facoltà di Scienze politiche dopo una lunga esperienza all’Università di Perugia. Il tema è l’apertura di Giorgia Meloni su una bicamerale in cui intavolare un dialogo serio sulle riforme costituzionali con le forze di quella che, secondo tutti i sondaggi, sarà l’opposizione.
È una proposta credibile?
La proposta di istituire una commissione bicamerale per le riforme costituzionali che fa Meloni è certamente interessante, e non va lasciata cadere, perché va a sorreggere l’idea che le riforme debbano basarsi su un lavoro condiviso e comune tra tutte le forze politiche. In merito, d’altronde, è proprio l’esperienza italiana, pur nelle difficoltà che storicamente hanno caratterizzato le tre commissioni bicamerali per le riforme costituzionali che abbiamo avuto, a mostrare che questo strumento è stato scelto quando si voleva favorire un dialogo largo, condiviso e costruttivo appunto tra tutte le forze politiche. Peraltro una commissione bicamerale per le riforme costituzionali è la palese negazione di quel timore che, invece, in questi giorni, è più volte giustamente emerso.
Quale?
Che si vogliano fare le riforme a colpi di maggioranza. Fatto che sarebbe davvero un errore molto grave, a maggior ragione di questi tempi, e per almeno due elementi: il primo è precedente le elezioni, il secondo successivo al voto.
Partiamo dal primo.
Per dare prova di buona fede rispetto a questo tema, cioè alla volontà di perseguire un dialogo e un confronto reale che poi si realizzi con una commissione bicamerale, oggi, sin da ora, durante la campagna elettorale, prima del voto del 25 settembre, tutti gli attori politici, a partire dal centrodestra guidato da Giorgia Meloni, che in tema sembra essere molto attiva e propositiva, debbono dichiarare che le istituzioni di garanzia saranno messe a riparo contro ogni uso, o meglio abuso, di maggioranza. E questo deve avvenire da subito, a partire dalle prossime elezioni dei consiglieri laici del Csm e dei giudici costituzionali. Perché un dialogo tra le forze politiche – se davvero lo si vuole, e non è una delle tante parole dette a vuoto in campagna elettorale – non può che partire dalle istituzioni di garanzia. Evitando ogni forma di occupazione politica manu militari delle stesse.
Dunque?
Dunque, se la proposta di Giorgia Meloni di una Commissione bicamerale per le riforme non è una boutade, questa non può che cominciare con una chiara dichiarazione pubblica che metta al sicuro le istituzioni di garanzia, mettendole a riparo da eventuali colpi di maggioranza.
Anche se i numeri in Parlamento potrebbero consentire di eleggere queste figure di garanzia a colpi di maggioranza?
Certo, per questo è una condizione pre-elettorale. Perché, di fronte a un alto numero di incerti ed indecisi, non sappiamo oggi chi vincerà le elezioni – e quindi è un impegno rischioso – e perché, punto ancora più importante, non tutto ciò che è legale è costituzionalmente opportuno. Questo è il punto nodale: deve essere esplicita la volontà di dialogo nell’elezione di queste figure di garanzia, indispensabili per l’equilibrio del sistema costituzionale, prima di sapere chi ha vinto le elezioni. Questo – mi faccia aggiungere – vale per Giorgia Meloni, di cui ora commentiamo la proposta, ma vale, del pari, ovviamente, anche per tutte le altre forze politiche.
Arriviamo al secondo elemento, quello post-elettorale.
Poste le premesse che abbiamo detto, avendo dato già questa prova pubblica di interesse vero al dialogo, si può ragionare insieme di riforme possibili e con quali strumenti attuarle, come ad esempio, per il tramite appunto di una commissione bicamerale.
Però l’apertura di Giorgia Meloni non è sul metodo, è sul merito: ha parlato di commissione bicamerale sul presidenzialismo…
Calma e gesso, torno a dire. Non si può discutere di queste cose seriamente, se seriamente le forze politiche non si dimostrano prima fiducia reciproca. E per discutere per bene di riforme, il metodo viene appunto prima del merito. Altrimenti più che del merito, si lanciano degli slogan: inutili fiamme che si consumano rapidamente con il passare del tempo di fronte agli occhi degli elettori. Per cui, il problema non è ragionare di presidenzialismo, semipresidenzialismo, rafforzamento del parlamentarismo o ancora del modello direttoriale svizzero, ma di fare politica, affrontando il primo dei nodi che esistono in questi casi, ossia la fiducia reciproca tra le forze politiche. Se c’è fiducia tra i vari attori, le ragioni di merito – se ve ne sono – trovano sempre una strada per affermarsi.
Le passate bicamerali però non sono andate benissimo…
Infatti. Il tema delle riforme costituzionali nel nostro Paese è lastricato di buone intenzioni, e anche di buone proposte, che però non hanno avuto futuro perché a un certo punto il merito veniva affossato dalla crisi del metodo, cioè le forze politiche non si riconoscevano più reciprocamente e non si davano più fiducia. L’obiettivo a quel punto diveniva utilizzare politicamente il dibattito sulle riforme, non fare invece le riforme. Con tutta l’esperienza che abbiamo, nel caso, stavolta, questo errore va evitato.
E quindi una prova di fiducia, da parte di Meloni…
Meloni deve dire: siccome il Paese ha bisogno di riformare la Costituzione – ed è vero aggiungo io – vi dico sin da ora che per le istituzioni di garanzia, ossia Csm e Corte costituzionale (e Presidenza della Repubblica, ma il Capo dello Stato è appena eletto quindi se ne riparla fra sette anni), nel momento del rinnovo delle figure che competono al Parlamento, ci sarà dialogo, condivisione e discussione con il resto delle forze politiche non di centrodestra, senza strumentalizzazioni politiche a colpi di maggioranza. A maggior ragione e doppiamente – aggiungo – se Meloni e il centrodestra avesse i 2/3 dei parlamentari. Perché a più poteri corrispondono più doveri, il primo dei quali è garantire il dialogo con la minoranza nel rispetto, come ho detto, innanzitutto delle istituzioni di garanzia.
E se così non fosse?
Questa è la leva che ci fa capire se la proposta di Meloni è vera o no: se c’è davvero una volontà in questo senso, se no è un pourparler. Ma allora davvero ci dovremmo preoccupare, perché si metterebbero potenzialmente a rischio le istituzioni di garanzia. Eppure, invece, i temi da poter discutere in una bicamerale sarebbero tanti.
Ad esempio quali?
Penso al tema della riforma del bicameralismo paritario, alle soluzioni in ragione degli effetti della riduzione dei parlamentari, alle scelte da fare intorno al Parlamento in seduta comune, alla riforma del Titolo V. Insomma, i temi sono tanti, perché non di solo dibattito intorno al presidenzialismo un Paese vive. Però oggi, prima di discutere di merito si deve discutere di metodo, e per capire se la proposta della presidente Meloni sia vera e non un ballon d’essai da campagna elettorale bisogna parlare del prossimo rinnovo condiviso delle istituzioni di garanzia. E bisogna farlo ora, quando nessuno sa chi vincerà le elezioni.