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Colmare il ritardo tecnologico con la Cina o diventarne succubi

Dall’ultimo rapporto del think tank Scsp, diretto dall’ex Ceo di Google Eric Schmidt, è emersa la necessità per Washington di spingere di più sull’acceleratore per agganciare Pechino nella corsa tech. Perdere la partita su tre settori chiave (microelettronica, 5G e IA) vorrebbe dire essere del tutto dipendenti dalla Cina

Arrivare prima, per non essere subordinati. Sembra essere questa la lezione impartita agli Stati Uniti dall’ultimo rapporto pubblicato dal think tank Special Competitive Studies Project (SCSP), in cui viene evidenziata una prospettiva sempre più chiara a tutti: senza progressi significativi nella tecnologia, la Cina potrà diventare una potenza tech talmente grande da escludere tutte le altre. Compresa l’America, che infatti cerca di ridurre quanto più possibile il divario con la storica rivale. In alternativa, il pegno da pagare sarebbe molto alto e si riverserebbe in tutti i settori, dall’economia fino alle forze militari.

Lo ha scritto chiaro e tondo nel rapporto anche l’ex Ceo di Google, Eric Schmidt, presidente dell’SCSP. “Pechino mette in atto le sue minacce di tagliare le forniture statunitensi di terre rare – necessarie per le tecnologie energetiche, digitali e di difesa – e riduce le forniture di semiconduttori innovativi, di cui il 92% è prodotto a Taiwan”, ha scritto. In sintesi, di fronte a questo scenario, “gli americani sono costretti a vivere in un mondo in cui la Cina può chiudere il rubinetto della tecnologia”. Per evitare che ciò accada, è necessario correre. Il CHIPS and Science Act va proprio in questa direzione ma, nonostante i tanti soldi messi sul tavolo dal governo americano, potrebbe non essere sufficiente. Il problema sta nel fatto che mentre Pechino investe da anni nel mondo tecnologico, gli Stati Uniti hanno iniziato troppo tardi e adesso raggiungere la Cina è molto più complesso di quel che sembri.

Per provarci, tuttavia, secondo SCSP è necessario puntare su tre settore chiave: microelettronica, 5G e Intelligenza Artificiale. “Queste tre tecnologie”, si legge nel rapporto, “rappresentano l’hardware critico, l’infrastruttura di rete e il software alla base di ogni aspetto della nostra vita – la potenza di calcolo, la connettività e i flussi di dati fondamentali per la nostra economia, società e sicurezza nazionale”. Nel primo campo, “gli Stati Uniti sono rimasti a guardare mentre la loro quota di produzione di chip che alimentano ogni macchina moderna ha raggiunto il minimo storico”.

Il 98% dei chip di cui ha bisogno il Pentagono, tanto per dirne una, sono costruiti, assemblati o confezionati in Cina. Sul 5G, invece, la partita è ancora molto lunga ma, anche in questo caso, gli Stati Uniti sono partiti in ritardo rispetto alla concorrenza e “solo una campagna diplomatica” serrata “ha rallentato la marcia della Cina”. Così come una battaglia ancora in corso riguarda più in generale l’I.A. ma, “mentre gli Stati Uniti non avevano una strategia che collegasse la tecnologia alla sicurezza nazionale, la Cina ha iniziato a investire in un piano nazionale per guidare il mondo dell’I.A. entro il 2030”. Washington, al contrario, ha sviluppato un piano simile solo quattro anni dopo.

Lo scenario peggiore ipotizzato dal rapporto vede una Cina ottenere il possesso dei metalli critici, il che vorrebbe dire paralizzare l’America – economicamente quanto militarmente – e renderla subordinata a Pechino, insieme alle altre democrazie. Si tratta, appunto, di una possibilità estrema ma che non è più possibile ignorare. Preoccupazioni di questo tipo sono infatti sempre più frequenti e ne è consapevole anche il governo degli Stati Uniti. “Non ho bisogno di dirvi che i progressi della scienza e della tecnologia sono pronti a definire il panorama geopolitico del Ventunesimo secolo”, ha scritto in una nota Jake Sullivan, il consigliere per sicurezza nazionale, proprio in risposta ai timori sollevati nel rapporto. I progressi tecnologici genereranno svolte “rivoluzionarie nel campo della salute e della medicina, della sicurezza alimentare e dell’energia pulita”, tanto per sottolinearne alcune.

Tuttavia, stiamo sempre parlando degli Stati Uniti e, quindi, di una potenza a tutti gli effetti che parte da una base solida. Investire nelle industrie esistenti e riportare in casa la produzione di materiali essenziali, come i chip, potrebbe garantire a Washington “un vantaggio nelle tecnologie critiche”. Anche perché gli Usa non possono promuovere un’I.A. democratica ed aperta “senza strategie nazionali”. Per ridurre il gap con la Cina è però necessario agire subito o, per essere precisi come nel rapporto, entro il decennio.


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