Skip to main content

Draghi e Mancuso, due maverick contro i “pupazzi”. Il mosaico di Fusi

Lo scomparso ex Guardasigilli Filippo Mancuso nel 1995 sbottò contro i “pupazzi ripieni di cenere e paglia”. Anche Draghi è ricorso alla stessa similitudine. Quando qualcuno ci dice che il Re è nudo, sbalordiamo e ci facciamo prendere dai singulti. Piaccia o no, al dunque la Repubblica dei Pupazzi è sempre lì: un totem impossibile da abbattere. La rubrica di Carlo Fusi

Prima o Seconda non fa differenza. Non c’è Repubblica che tenga, siamo e restiamo il Paese dei pupazzi. È a loro, infatti, che nei momenti di tensione, quando si vogliono specificare manovre e manchevolezze, si ricorre. A quel tipo di allegoria si fa riferimento quando bisogna muovere accuse o indicare responsabilità. Lo fanno i “tecnici” e ciò rende la cosa ancora più urticante per i frequentatori del Palazzo: che per questo fanno spallucce, si tirano da parte, ricorrono al solito “fuori i nomi” e non trovano di meglio che mettere le mani avanti dicendo “io non c’entro”.

Come spesso accade, conta più il non detto che il contrario. Infatti i pupazzi sono marionette i cui fili, a volte visibilmente altre no, sono tirati da personaggi che restano volutamente e compiacentemente in ombra; le cui mosse magari nell’immediato risultano poco comprensibili ma i cui scopi alla fine emergono con nettezza.

Alla similitudine (qualcuno direbbe metafora) dei pupazzi è ricorso in quella che presumibilmente dovrebbe essere l’ultima conferenza stampa o giù di lì del suo mandato, e che perciò funge anche come sorta di testamento politico, Mario Draghi. Ha detto che l’Italia è un grande Paese e non saranno “pupazzi prezzolati” a cambiarne l’assetto e le appartenenze geopolitiche. Il pensiero è subito corso alla guerra tra Russia e Ucraina e ai tanti putinisti di complemento che affollano le aule parlamentari e i talk show. Riferimento in effetti non così peregrino se è vero che, volato a New York per ricevere il primo di “Statista dell’anno” (sic!) dalle mani di Henry Kissinger, ha spiegato che “non ci possono essere esitazioni contro le autocrazie, dobbiamo difendere i nostri ideali”. Nessun riferimento stavolta a marionette o pupari: non ce n’era bisogno.

Questa però è solo cronaca. Sui pupazzi, invece, il punto è un altro. È il tornante che ci si trova di fronte quando si devono fare scelte non solo di appartenenza bensì soprattutto identitarie. Valoriali, diciamo. E, specificatamente, quando bisogna mettere in guardia dai sabotatori o dagli avversari che quei valori e quelle identità mettono in discussione. È una questione storica, se è consentito esagerare almeno un po’.

Così dopo aver sentito le stoccate di Super Mario, al cronista sono tornate in mente altre eguali parole, pronunciate ere politiche fa, da un altro “tecnico” chiamato a svolgere anche lui un ruolo delicatissimo in una fase di transizione, di passaggio da un equilibrio politico ad un altro. Si tratta dello scomparso ex Guardasigilli Filippo Mancuso. Anche lui messo al muro da critiche provenienti soprattutto da sinistra, per certi suoi atteggiamenti non proprio in linea con il sentiment della magistratura militante. Era il 1995, capo del governo Lamberto Dini, pure lui “tecnico”.

Ebbene ad un convegno europeo, Mancuso sbottò: “Non badate ai pupazzi ripieni di cenere e paglia. Solo il recupero del senso della norma, e attraverso di essa il recupero delle qualità morali della vita, è in grado di restituire, non dall’oggi al domani, il risultato tangibile del bene”. Senso della norma e dunque comportamenti nell’alveo delle istituzioni; recupero delle qualità morali e perciò condanna di posizioni dette in un modo e poi praticate in un altro. Ricorda qualcosa o qualcuno? Mancuso e Draghi, due maverick della scena politica, il secondo con più responsabilità di governo del primo.

Chi il filo di continuità tra il presente e il passato recente non lo vede, va per la sua strada. Noi restiamo qui a rimuginare sulle parole, a sorprenderci che i pupazzi vanno e vengono, cambiano sembianze e drappeggi, ma non abbandonano mai la scena. È l’Italia. Ci piace il teatrino dei Pupi, battiamo piedi e mani con compiacimento durante lo spettacolo e quando qualcuno – sempre “tecnico” per carità – ci dice che il Re è nudo, sbalordiamo e ci facciamo prendere dai singulti e mai che si capisca fino in fondo se sono di imbarazzo o di soddisfazione. Piaccia o no, al dunque la Repubblica dei Pupazzi è sempre lì: un totem impossibile da abbattere.


×

Iscriviti alla newsletter