Questa notte, alle 1:14 italiane, la sonda della Nasa Dart ha colpito con successo l’asteroide Dimorphos. Un esperimento spaziale senza precedenti che ha dimostrato la capacità umana di colpire un asteroide in possibile dirittura di collisione contro la Terra, cercando di deviarne la traiettoria. A documentare l’impatto e i detriti prodotti c’è stato un fotoreporter d’eccezione, fiore all’occhiello italiano, il cubesat dell’Asi LiciaCube, prodotto da Argotec
La Terra è salva. O meglio, da oggi si potrà stare più tranquilli, perché l’essere umano ha dimostrato di essere in grado di colpire un asteroide cercando di deviarne la traiettoria, scongiurando così quegli scenari da film di fantascienza in stile “Don’t look up”. Questa notte, alle ore 1:14 italiane e a 24.140 chilometri orari, la sonda Dart (Double Asteroid Redirection Test) della Nasa ha colpito con successo l’asteroide Dimorphos, cercando di modificarne l’orbita. Si tratta di una sonda grande quanto un autobus e del valore di circa 325 milioni di dollari che è entrata in collisione con una luna della dimensione della piramide di Giza (con un diametro di circa 160 metri) orbitante attorno al più grande corpo roccioso Didymos. Il sistema di asteroidi non rappresentava di per sé una minaccia per la Terra, dal momento che il test è avvenuto a circa tredici milioni di chilometri dal nostro pianeta, ma Dart ha sperimentato per la prima volta la tecnica dell’impatto cinetico. L’impatto è stato ripreso da un testimone oculare tutto italiano, il cubesat LiciaCube finanziato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) – unico partner internazionale della missione Dart – e realizzato dall’azienda torinese Argotec . “Che momento di svolta per la difesa del pianeta e per tutta l’umanità!”, ha commentato l’amministratore della Nasa, Bill Nelson. “È un momento d’oro per le attività spaziali italiane, stiamo investendo tanto nello spazio e si vedono importanti ricadute in termini di missioni e anche di dialogo dell’Italia con i grandi player spaziali nel mondo”, ha commentato inoltre il presidente dell’Asi, Giorgio Saccoccia, intervenendo alla conferenza stampa organizzata nella sede di Argotec.
Un successo senza precedenti
La conferma del successo del primo test di difesa planetaria è arrivato via video, appena 38 secondi dopo l’impatto, tuttavia, come ha specificato la Nasa, la conferma definitiva del successo della missione arriverà nelle prossime settimane, quando i calcoli potranno verificare se l’orbita di Dimorphos è stata effettivamente modificata. Nel frattempo, sono arrivate ore dopo l’impatto le prime fotografie spaziali da LiciaCube del punto in cui l’asteroide Dimorphos è stato colpito. Le immagini sono in via di processamento e saranno visibili nel corso della giornata. “Abbiamo scaricato tutte immagini molto interessanti. L’entusiasmo è alle stelle”, ha dichiarato all’Ansa Simone Pirrotta, responsabile della missione LiciaCube per l’Asi. L’acquisizione delle immagini “è il più importante ritorno previsto dalla nostra missione”, ha aggiunto Pirrotta, è infatti “il segno evidente che la traiettoria è stata quasi esattamente quella prevista, che il sistema di puntamento ha lavorato bene e che le fotocamere hanno acquisito le foto previste”. Questo esperimento spaziale senza precedenti è stato monitorato e gestito soprattutto dal personale del laboratorio di fisica applicata dell’università John Hopkins nel Maryland, su commissione della Nasa. Ma toccherà ora al team scientifico coordinato dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) studiare le immagini acquisiste dalle due camere di LiciaCube, Luke e Leia, in particolare in riferimento alla deviazione della traiettoria dell’asteroide e alla conseguente nube di detriti spaziali prodotti dalla collisione. Con lo scopo di ricavare informazioni finora inedite sulla natura fisica del bersaglio della missione. Ad oggi, infatti, si sa ancora molto poco di Dimorphos e della sua struttura interna, vi è solo un’idea di quale possa essere la sua composizione. “Con il suo reportage in tempo reale, LiciaCube fornirà informazioni quantitative sull’efficacia della tecnica di deflessione, cosa che ai telescopi basati a Terra richiederà un certo tempo, e sulla natura dell’asteroide”, ha concluso Pirrotta.
LiciaCube, il fotoreporter cosmico
LiciaCube, acronimo di “Light italian cubesat for imaging of asteroids”, è “il primo satellite tutto italiano a operare in totale autonomia da una distanza alla quale nessun veicolo italiano si era mai avventurato, e che è gestito da un centro di controllo in Italia”, ha spiegato Pirrotta. Il cubesat rappresenta infatti l’oggetto italiano a essersi spinto finora più lontano nello spazio, un precedente importante per il made in Italy che sta facendo della Space economy uno dei suoi cavalli di battaglia. Dopo essere stato lanciato nello spazio insieme a Dart il 24 novembre 2021, e aver affrontato un viaggio durato più di dieci mesi, è stato infatti il nanosatellite prodotto da Argotec a catturare le immagini sottostanti che raffigurano l’impatto della sonda della Nasa con Dimorphos. Ma non è da solo in questo compito, ci saranno anche una serie di telescopi sia sulla Terra sia nello spazio che osserveranno l’evolversi dell’evento, tra cui il potente telescopio James Webb. Oltre a Hera, la missione dell’Agenzia spaziale europea (Esa) che arriverà tra quattro anni a esaminare ancor più a fondo il cratere d’impatto e i danni causati all’asteroide, rimandando poi sulla Terra i dati sulla sua composizione. LiciaCube è da considerarsi il frutto di un vero e proprio di squadra nostrano al quale hanno partecipato l’Istituto nazionale di astrofisica, il Politecnico di Milano, l’Università di Bologna, l’Università Parthenope di Napoli e l’Istituto di fisica applicata ‘Nello Carrara’ del Consiglio nazionale delle ricerche. Il cubesat utilizza un’ottica potente e un software basato sull’intelligenza artificiale, in grado di effettuare il riconoscimento degli oggetti celesti nel campo di vista della camera, di attuare in modo autonomo manovre orbitali e di catturare immagini e dati scientifici che saranno indispensabili nella validazione di questa tecnica per la difesa della Terra da potenziali minacce esterne come gli asteroidi.
La missione Dart
Lanciata dalla California lo scorso novembre, Dart ha portato a termine il suo obiettivo. La sonda della Nasa, di 550 chili, è stato lanciata a una velocità di circa 22mila chilometri orari contro l’asteroide Dimorphos, che orbita attorno a Didymos in 11 ore e 55 minuti, con lo scopo di modificare questo periodo orbitale di circa 10 minuti. A interessare particolarmente gli scienziati dell’Agenzia spaziale americana è infatti il diametro dell’orbita descritta da Dimorphos intorno a Didymos, di appena un chilometro. La distanza, sufficientemente contenuta, permetterà di misurare e valutare con più precisione gli effetti di Dart grazie ai dati raccolti durante la collisione e alle future missioni spaziali che andranno ad analizzare nuovamente l’impatto. La sonda si è mossa verso il bersaglio anche grazie al suo Maneuvering autonomous rendezvous and targeting navigation, un sistema in cui vengono elaborati direttamente dalla sonda gli algoritmi per centrare il bersaglio, potendo eseguire piccole variazioni autonome della velocità. Anche in questo frangente c’è il contributo del nostro Paese, dal momento che Leonardo ha fornito alla Nasa il sensore d’assetto che ha contribuito a guidare con grandissima precisione la sonda Dart verso l’impatto contro l’asteroide. Il sensore made in Italy è in grado di “puntare” una monetina da 1 euro a ben 2.5 chilometri di distanza.
L’impegno europeo
La missione americana rientra nell’iniziativa “Asteroid impact & deflection assessment”, frutto della collaborazione tra le due sponde dell’Atlantico per scoprire le possibilità di una difesa interplanetaria. Lo scorso settembre, l’Esa ha avviato i lavori per Hera che verrà lanciata nel 2026, per verificare i risultati di Dart dopo diversi anni dalla sua missione. C’è tanta Italia anche qui. Al consorzio guidato dalla tedesca OHB (che ha ricevuto un contratto da 129,4 milioni di euro) partecipano tra gli altri Avio, OHB Italia e Thales Alenia Space. Intorno al 2026, Hera dovrebbe avvicinarsi a Didymos, per un rendez-vous con l’asteroide e sei mesi di studi ravvicinati sul “cratere sostanzioso” che la sonda americana ha prodotto su Dimorphos.
(Immagini: Asi/Nasa)