Walter Verini: “Siamo sembrati un partito troppo lontano e spesso più ceto politico autoreferenziale e chiuso che non classe dirigente. La mission è condividere dolori e disagi”. Chiara Geloni: “Attenzione a non fare solo ginnastica intellettuale: bene le agorà, ma serve poi anche la sintesi”
Il Pd è il secondo partito d’Italia, ha leggermente migliorato il risultato di cinque anni fa e comunque ha resistito alla “tempesta” perfetta, rappresentata da un lato dalla proposta innovativa di Calenda e Renzi (che però non raggiunge la doppia cifra) e dall’altro dalla prestazione meridionalista del M5S (che, comunque, ha dimezzato i voti rispetto al 2018). Eppure si amplifica giorno dopo giorno solo la crisi dem, con chi addirittura propone di cambiare nome al partito, di ripartire da zero, e dagli immancabili territori, e con il toto nomi sul prossimo segretario.
Non si è parlato, almeno fino ad ora, di cosa vuol essere il Pd prima di con chi vuole andare. Identità e direzione di marcia, fino al periodo pre-elettorale, parevano naturalmente fusi nello strumento delle agorà, che aveva caratterizzato seppur tra non poche difficoltà la segreteria di Enrico Letta. E se il Pd che deve allenarsi a stare all’opposizione ripartisse proprio da lì?
Stop al correntismo
Sciogliamo le correnti e ripartiamo dalle agorà, propone a Formiche.net Walter Verini, secondo cui lo spirito che ha innescato quello strumento di discussione va rafforzato. “Io ho un’opinione diversa da quella del dibattito di questi giorni come ordine di priorità – precisa il tesoriere del Pd – . Penso che il nostro partito, da anni, è soprattutto un partito fondato sul correntismo e su filiere che hanno poco di carattere politico e culturale. Nella prassi quotidiana si manifestano come filiere che dal centro del partito fino all’ultimo dei circoli determinano la vita del partito e spesso gli scontri interni al partito, che però non attengono a programmi. Mentre non vedo un confronto politico e programmatico. Le divisioni di questi anni, a tutti i livelli, sono state più sulle candidature. Siamo sembrati un partito troppo lontano e spesso più ceto politico autoreferenziale e chiuso che non classe dirigente”.
RAGAZZI, ORA C’È DA FARE L’OPPOSIZIONE.
Quando ho dovuto decidere se candidarmi al Parlamento, consultai un maestro del cattolicesimo democratico, che mi disse: “candidati perché a Roma la DC ha sempre governato e non sa fare opposizione; tu da buon emiliano puoi insegnarglielo”— PL Castagnetti (@PLCastagnetti) October 2, 2022
Lo spirito della agorà
Un j’accuse franco e onesto intellettualmente quello che fa Verini, utile come premessa per fare un po’di chiarezza nelle mille voci che si ascoltano in questi giorni. E con una direzione di marcia precisa: “Lo spirito delle agorà va assolutamente non solo salvaguardato, ma moltiplicato e anche irrobustito all’ennesima potenza. Nel senso che prima di discutere di Job’s Act, di programmi, di statuto o di Congresso, dobbiamo mettere sinceramente in connessione le energie represse. E quindi il primo atto per poter essere credibili nell’aprire un percorso dovrebbe essere quello dello scioglimento di tutte le correnti interne”.
E cita le parole con cui si dimise dalla segreteria Nicola Zingaretti (“mi vergogno di un partito che litiga solo sulle poltrone”). In questo senso dalle agorà potrebbero emergere anche le sensibilità, più pratiche, che saranno utili alla futura segreteria. Ad esempio immaginare con chi il Pd di domani dovrà dialogare, se più con il Terzo Polo o con il M5S: ma prima di fare questo e prima di scegliere il segretario, quale il modello che il Pd deve inseguire, il modello Ursula?
L’identità
“No – osserva deciso Verini – questo è l’ultimo dei problemi che abbiamo. Io non sono appassionato dei trattini o delle alleanze. Noi abbiamo già il codice genetico. Abbiamo una cosa che si chiama Lingotto. Naturalmente possiamo riflettere sul fatto che sia una cosa datata, perché è cambiato il mondo tra la crisi del debito, la bolla di Wall Street, la pandemia e la crisi energetica. Ma quei principi e quei valori sono del tutto attuali. E allora noi dobbiamo curare noi stessi. A me non preoccupa solo il cambio di dieci segretari, ma il fatto che noi eravamo dodici milioni di elettori in carne ed ossa e in 14 anni ne abbiamo persi più della metà. Anche Renzi, quando raggiunse il famoso 41%, lo fece prendendo un milione di voti in meno del 2008”.
Per cui, è la tesi di Verini, serve un progetto aperto, che parta da una elementare presa di coscienza dei dirigenti: si chiedano tutte le mattine cosa succede attorno a loro, nel loro quartiere o nella loro città e non cosa succede dentro il partito.
“Abbiamo bisogno invece di stare dove i cittadini fanno la fila, dove perdono il posto di lavoro, dove studiano oppure dove si rimboccano le maniche. Io penso che noi dovremmo vivere le fragilità sociali. La mission è condividere dolori e i disagi”.
I rischi
Non mancano però i rischi di un’operazione del genere. Ovvero attenzione a non fare solo ginnastica intellettuale, consiglia l’ex direttrice di Youdem, Chiara Geloni, sottolineando che lo strumento delle agorà è senza dubbio molto ben animato dalle migliori intenzioni, ma se non portato a compimento manca poi di una sintesi. “Non vorrei che fossimo in presenza di una specie di agorà due, con una una serie di riunioni in cui si discute di massimi sistemi e in maniera un po’ astratta dove ognuno presenta la sua proposta, ma poi alla fine non c’è una vera e propria sintesi e si finisce con arrivare direttamente alle primarie”.
Ovvero il rischio che il Pd del 2022, quello che deve ormai progettare una fase ideale e concreta del tutto nuova (e che gli è forse sconosciuta dal 2010 in poi), si ritrovi a metà strada tra la grande chiamata di idee e proclami, e il rito delle primarie, senza che nel mezzo ci sia appunto l’imprescindibile e franco dialogo che proprio nelle intenzioni lettiane dovevano essere le agorà. “Non si può prescindere dalla discussione sui contenuti e sull’identità che rimane una cosa separata”, aggiunge Geloni.
Ticket
Il corpo del partito, però, è solo a metà impegnato nel metabolizzare questa nuova fase. Da un lato c’è chi come il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, osserva che “parlare dei nomi è ancora prematuro perché non è ancora partito il congresso, non sappiamo quando sarà, non ci sono ancora delle regole su come poter sviluppare il congresso”. Per cui pur esprimendo una personale opinione molto positiva su Bonaccini (“ed è sicuramente una figura all’altezza del ruolo”), Giani predica prudenza, indicando nel confronto congressuale una fase imprescindibile. Si è portato avanti col lavoro, invece, il deputato Andrea De Maria, che ha indicato Stefano Bonaccini candidato segretario ed Elly Schlein come sua vice (“sarebbe perfetta per un ticket, un modo per contribuire davvero dalla nostra terra ad una nuova stagione di rilancio e di rinnovamento del Pd e del centrosinistra”).