Questa sinistra non ha bisogno di essere una Chiesa, la Chiesa di Francesco non è certo un partito né per un partito. Per dare a una nuova visione socialdemocratica basi solide e moderne credo che sarebbe una scelta che quanto si scrive in questi giorni in senso opposto confermi come difficile ma anche indispensabile. La riflessione di Riccardo Cristiano
Tra i giochi di società più gettonati c’è il dibattito sulla crisi del Pd. Forse tra idee sbalorditive e spesso intrise di quel forte odore di naftalina che tutti riconosciamo, il gioco diventa un tentativo di trovare nell’armadio del malato il vestito giusto per queste strane stagioni che oggi ci portano l’estate a Natale o l’autunno a Pasqua. Vuoi vedere che il problema del Pd è il cambio di armadi? Via il fresco di lana, dentro il gabardin e tutto si aggiusta. Tutto sommato è ancora di non tanti mesi fa la grande vittoria alle comunali, il modello Verona, e tante storie del genere.
Io penso che il problema vero sia capire cosa sia oggi “sinistra” più che “Pd” e non penso che il Pd abbia un solo problema. Il primo è il gruppo dirigente: i ministri del Pd sono capi corrente immodificabili da tanti anni. È normale? Il gruppo dirigente si è impossessato del partito, ha prodotto (per quota parte) leggi elettorali capaci anche di espropriare gli elettori del diritto e della possibilità di scegliere i suoi eletti. I conti si fanno nelle segrete stanze?
Sotto questa novità dirigenziale, che non prevede molte altre possibilità per l’ingresso nel gruppo dirigente che l’appartenenza ai suoi meccanismi, si è venuta strutturando nel corso del tempo una ideologia liberal comunista. Il comunismo tendenziale è rimasto nell’approvazione di un vecchio ceto intellettuale, o parte di esso, per Mosca, ritenuta comunque e ancora oggi preferibile alla nemica
Washington, eterna capitale del male per via sopratutto delle malafatte della Cia nel mondo. Insomma, l’antica idea che Mosca fosse e sia la Terza Roma, la capitale del nuovo impero del bene che guida con la Terza Internazionale una rivoluzione benefica nel mondo è rimasta inalterata nel profondo di alcuni ambienti “di sinistra” e il gruppo dirigente non l’ha mai saputa sfidare o sostituire con un’altra nonostante gli “I care” di Veltroni o altre riverniciature della vecchia scocca: questo sentire magari un po’ nascosto, ha incontrato il consenso di certo cattolicesimo terzomondista, convinto in altro modo che America sia la Cia, insomma il male. Il fatto è spesso vero, ma chi è il bene? Gli altri imperialismi altrettanto veri?
È come se nel cuore di molti in certi ambienti di sinistra si nascondesse un Kirill capace di trasformare la teologia imperiale russa nella ateologia imperiale del comunismo terzinternazionalista, sempre rappresentato con il semplificante “realismo socialista”. La sana e innovativa visione degli imperialismi in conflitto di cui parla Francesco, in questi ambienti non è mai stata digerita, l’imperialismo è solo yankee, di là c’è la salvezza, che guarda caso l’“ateologia marxista leninista” ha chiamato “uomo nuovo”, proprio come il cristianesimo. Il fatto che i vertici del Pd abbiano dimostrato con i fatti di non condividere questo “sentimento profondo”, ha pesato eccome sull’esito del voto.
Intanto però accanto a questo “veterismo” indifferente al fatto che a Mosca l’ateismo di Stato sia stato sostituito dal fondamentalismo di Stato, pronto a citare “genitore 1 e genitore 2” tra i grandi mali mortali dell’Occidente, nella cultura di sinistra si è diffuso un nuovissimo liberalismo personale, questa volta promosso dai vertici. Per portare la base nella nuova cultura ritenuta vincente e quindi giusta , proprio coma ha detto Berlusconi poco prima delle elezioni, si è puntato a fare del Pd un “partito radicale di massa”.
Simpatizzanti o antipatizzanti del Cavaliere, come negare che le cose stiano così? Perso l’obiettivo mobilitante del collettivismo, del comunismo, cosa poteva essere perseguito in mondo non incompatibile con una visione economica compatibile con l’ordine liberista vincente e vigente? Accettare la sfida con la destra cattolica nel nome dei diritti civili vissuti come ideologia senza possibili eccezioni. La corazzata sulla quale si è incastrato il pensiero cattolico contemporaneo, imposta a Paolo VI dalla curia romana e da lui adottata ma definendola “modificabile”, si chiama Humanae Vitae. Lì la Chiesa è diventata per molti un buco della serratura dal quale controllare cosa accada nei talami nunziali. Un’ espressione forse esagerata, ma l’impostazione dei “no” molti cattolici l’hanno vissuta male ma vi hanno percepito anche una difesa di un ordine sociale e morale che l’estremismo opposto giustificava. La scommessa a dividere è stata vinta anche perché il laicato cattolico non ha saputo imporre l’altra enciclica di Paolo VI, la Populorum Progressio, come sua bussola.
Nella Chiesa così la sola resistenza è parsa il catto comunismo, ma nessuno ha saputo vedere l’italiano Saragat o il tedesco Willy Brandt? Questo radicalizzando i campi e sottraendo il terreno di dialogo a tutti i dialoganti non omologati o omologabili ha favorito chi voleva eliminare la cultura dell’eccezione, che ad esempio tra i cattolici negli anni Sessanta non vide problemi al riconoscimento del no alla contraccezione per buon senso, come quello delle suore nel Congo in guerra che rischiavano la violenza sessuale e altri connessi danni fisici e psichici come una gravidanza né voluta né consentita. Arrivare a un muro contro muro è stato facile, facendo dell’aborto un diritto o un assassinio anche prima che compaia la vita umana. Un fatto rimosso dal confronto da entrambe le parti. Difesa della vita o difesa della vita umana? Diritto all’aborto o diritto a un’ interruzione terapeutica della gravidanza entro un tempo certo e limitato, forse, alla formazione della vita come vita umana?
Questo non ha nulla a che vedere con giuste esigenze di civiltà, come lo ius soli:la patria non sarà tale per tutti i suoi figli, cioè per chiunque nasce dove vive? E la cittadinanza non sarà tale per chiunque paga le tasse e non solo per chi ha l’albero genealogico in ordine?
Se questo è un esempio semplice di convergenza, quello importante è capirsi su cosa è la libertà. Libertà è fare ciò che si desidera, dice un liberalismo integrale, e quindi è un diritto civile anche licenziare, assumerne per un tempo breve o altro ancora. Oppure libertà è essere rispettati nei propri indirizzi, sessuali e umani, come nella propria dignità sociale? Chi vive ai margini della società dei consumi non ha diritti “civili”? Ripartire da qui, soprattutto nell’epoca del papato di Francesco, consentirebbe a tutta la sinistra e quindi anche al Pd, di riscoprirsi post-consumista, umanista, sulla base di un dialogo nuovo, quello che io chiamo catto-socialista o socialdemocratico. Questa sinistra non ha bisogno di essere una Chiesa, la Chiesa di Francesco non è certo un partito né per un partito. Per dare a una nuova visione socialdemocratica basi solide e moderne credo che sarebbe una scelta che quanto si scrive in questi giorni in senso opposto confermi come difficile ma anche indispensabile.