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Come la sinistra reagisce al ritorno in campo di Veltroni, D’Alema e Bersani

Bazoli (Pd): “Trovo surreale sia i consigli del giorno dopo sia i consigli a sciogliersi: non siamo a un punto morto. Per fortuna che c’è il Partito democratico: teniamocelo stretto”. Scotto (Art1): “Una chiamata interurbana a tutto il campo largo prima del congresso? Nessuno si sciolga, insieme costruiamo una nuova idea del mondo con meno liberismo e più collettivo”

Bastone e carota si scorgono, scientificamente cadenzati, nel triplice commento di oggi alla crisi della sinistra da parte di autorevoli voci come Veltroni, Bersani e D’Alema. Tutti, con sfumature fisiologicamente diverse, abbozzano una diagnosi e un possibile percorso di ripartenza: dai consueti territori all’anno zero, dallo sforzo per non farsi fagocitare dal M5S fino alla proposta dalemiana di due partiti, uno socialista ed uno di sinistra cattolica. Tra militanti e cittadini resta però il dubbio che se questo patrimonio di idee fosse stato diffuso e impiegato mesi addietro, forse le cose sarebbero andate diversamente nelle urne.

Ma intanto, oltre alle diagnosi, la sinistra-sinistra scalda i motori, non fosse altro perché abituata (forse più del Pd) alle barricate e convoca sabato prossimo la Direzione Nazionale di Articolo Uno che, verosimilmente, partirà dalla dottrina Bersani (“Basta con le primarie, serve un partito nuovo”) e lo farà curiosamente nel giorno della manifestazione della Cgil.

Quali responsabilità

“Partiamo da un dato, partiamo da Letta – dice a Formiche.net il coordinatore di Art1, Arturo Scotto – come sempre, quando perdi, sei da solo e tutte le responsabilità ricadono su di te; quando invece sei sulla cresta dell’onda le vittorie sono comuni. Io penso che Letta abbia provato, nella condizione difficilissima in cui siamo stati, a mettere in campo un programma molto avanzato sul piano politico, promosso da una lista che andasse oltre i confini del Pd. Da qui la suggestione dell’Italia democratica e progressista come nocciolo di un nuovo cantiere della sinistra. In quel programma c’erano tre assi fondamentali: una lista che provava a ritornare sul lavoro mettendo al centro i diritti; rilanciare il modello spagnolo del contratto a tempo determinato che deve costare di più di quello indeterminato; superare il Jobs Act di Renzi. Questa cesura purtroppo non è stata recepita come tale, come ammette oggi Provenzano, da tutto il Pd. Non ho votato il jobs act e lo rivendico, ma ho salutato come un’innovazione sincera questo cambio di paradigma. Nonostante questa svolta, la voce che è arrivata si è rivelata debole, così come sui diritti e sull’ambiente”.

E precisa che il tema resta sempre il messaggio di fondo: i programmi o sono bandiere piantate nella testa dei popoli, come diceva il vecchio Federico Engels, oppure appaiono solo un pezzo di carta o una lista fredda di promesse. “Infatti ciò che è arrivato alle persone è che lo spazio del campo progressista era conteso da forze diverse – nessuna delle quali capaci di ambire al governo perché divise tra loro – e che, sostanzialmente, il cambiamento che era annunciato non era incarnato, diciamo, da uomini e donne in grado di rappresentarla”.

No ai maestri della crisi

“Non essendo del Pd – sottolinea Scotto – mi approccio con grande equilibrio a una discussione che è innanzitutto loro. Io non sono mai stato iscritto al Partito democratico, penso che sia un progetto nato sull’onda della terza via blairiana nel momento in cui invece scoppiava la più grande crisi economica e finanziaria dal 1929 in poi. Dunque un progetto di adattamento alla realtà e non di trasformazione di essa. Nessuno tuttavia può ergersi a maestro nella lettura della crisi della sinistra, che affonda le radici in un tempo lontano. È una crisi che ha travolto indistintamente quella più moderata e quella più radicale, perché nel frattempo si è ristretto il campo sociale ed elettorale. E se guardiamo i dati a fondo, ci rendiamo conto che la sconfitta alle elezioni politiche, nel rapporto con larghi strati di mondo del lavoro e di ceti popolari, riguarda indistintamente tutte le formazioni di centro sinistra o di sinistra”.

Osserva di essere tutti parte di un blocco sociale ed elettorale molto simile, “ci differenziano soltanto le sfumature sulle piattaforme politiche, prendiamo i voti negli stessi luoghi, cioè in quella parte urbana della popolazione che ha retto meglio la crisi economica”. Per cui oggi decreta che l’urgenza è quella di ricostruire un campo democratico largo, anche attraverso una ripresa del dialogo con il Movimento Cinque Stelle, ripensando la funzione storica di una sinistra democratica e di governo che provi a rinnovare innanzitutto le proprie radici, a partire dalla questione di una redistribuzione fiscale più progressiva, dalla centralità dei beni comuni e dalla riunificazione del mondo del lavoro.

Chiamata interurbana a tutto il centrosinistra

“Sarebbe il colmo se ciascuno facesse questa discussione nella propria parrocchietta. Occorrerebbe, partendo da una sconfitta che ci pone davanti il tema dell’esistenza stessa di una sinistra democratica e di governo nel nostro Paese, avere l’ambizione di fare una chiamata larga”.

Il parallelo oltre confine può essere utile. “Attenzione – avvisa – non abbiamo fatto la fine dei socialisti francesi, ma per la prima volta abbiamo due potenziali soggetti antagonisti, Conte e Calenda, che puntano direttamente a sostituire l’offerta tradizionale della sinistra politica. C’è bisogno di impostare al più presto l’agenda dell’opposizione, da cui deriverà inevitabilmente anche la piattaforma della sinistra che vogliamo. C’è bisogno invece del tempo giusto per rilanciare un’idea di società e dunque un soggetto della sinistra utile al Paese”.

Pollice in su a Letta che “secondo me mette in campo una proposta che va valutata con attenzione, perché coglie in buona parte anche molte delle cose che abbiamo detto noi in questi anni su forme organizzative, simbolo, nome, partecipazione”. Il tema è che questa chiamata deve essere “interurbana” e quindi deve riguardare iscritti e non iscritti, elettori che hanno perso la speranza e persino il coinvolgimento emotivo nei confronti della sinistra. E aggiunge che c’è tanta sinistra nell’associazionismo, nel sindacato, nelle cooperative: un tempo era chiamata la cosiddetta cinghia di trasmissione, oggi giustamente rivendica autonomia ma non indifferenza rispetto alle sorti del nostro campo. “In questa chiamata interurbana serve coinvolgere anche loro. Ha ragione Bersani: io non sono per dare il monopolio della sinistra a nessuno, a partire da Conte, ma sono per costruire una sinistra politica che provi a comprendere e ad analizzare senza snobismi ed arroganza le cause per cui in tante aree del paese, soprattutto nel mezzogiorno, i ceti espulsi dai cicli produttivi e da un lavoro stabile e ben retribuito chiedono protezione e giustizia sociale ai Cinque stelle e non a noi. Penso dunque a una fase costituente vera, non chiedo a nessuno di sciogliersi, ma chiedo a tutti di fare un passo in avanti perché c’è bisogno di un partito nuovo in grado di mettere in campo pensiero e organizzazione. Non si può ridurre tutto a una corsa ai gazebo”.

Pace e Ue

Infine la pace: torna la minaccia nucleare che rischia di estinguere un’idea di convivenza globale e dunque la stessa esistenza del genere umano e della biosfera. Secondo Scotto di fronte a questo conflitto potenzialmente devastante c’è troppa afonia da parte delle classi dirigenti progressiste e persino un certo fatalismo sull’inevitabilità della guerra. “L’idea che l’Ue non riesca ad incidere diplomaticamente nella risoluzione del conflitto russo-ucraino, affermando una nuova stagione di cooperazione e di sicurezza tra est e ovest, la fa diventare potenzialmente la vittima principale di questa tragedia. Tutti ballano in questo momento sul cadavere di Bruxelles, lo dimostra la recessione terribile che sta arrivando. E dal momento che la sinistra ha provato a rifondare la sua missione in questo trentennio sull’idea di uno spazio sociale e politico europeo comune e solidale, perderebbe l’acqua nella quale nuota”.

Surreali i consigli del giorno dopo

“Trovo surreale sia i consigli del giorno dopo sia i consigli a sciogliersi – ammette perentorio a Formiche.net Alfredo Bazoli – non siamo ad un punto morto. Anzi, invito a guardare cosa ha fatto in Germania la Spd: quando ha raccolto pochi voti nessuno l’ha archiviata e oggi governa assieme a liberali e verdi, che in quel paese non sono come quelli di casa nostra”. Eletto al Senato nel collegio bresciano, Bazoli spiega che è vero che il Pd ha perso le elezioni, ma intanto bisognerebbe “distribuire bene le responsabilità per la sconfitta elettorale, non vorrei che si scappasse dalla lettura abbiamo perso le elezioni per la circostanza che gli altri due partiti di opposizione hanno deciso di andare da soli per massimizzare i propri consensi”.

“Cambiare nome e sciogliersi è una cosa che io trovo semplicemente ridicola, perché le responsabilità sono da distribuire bene: penso che siano molto più altrove che nel Partito democratico. Il Partito Democratico comunque rimane il perno ed è il più importante partito dell’opposizione: il 19% è qualcosina di più rispetto alle scorse elezioni. Questo dibattito c’è solo in Italia che chi perde le elezioni deve sciogliersi o cambiare nome. Lo dimostra il paragone con la storia della Spd tedesca, che oggi esprime il cancelliere: tre anni fa è scesa al suo minimo storico e nessuno e chiese lo scioglimento. Oggi hanno vinto le elezioni, sono diventati il primo partito, hanno preso la percentuale più alta da 15 anni a questa parte e governano insieme ai liberali e ai verdi. Solo questo ci dice qualcosa rispetto alla situazione italiana”

Spd e Pd

Cosa significa guardando a casa nostra? “La differenza tra la Germania e l’Italia è che i liberali e i verdi lì hanno una dirigenza responsabile, intelligente che non parla solo e poi se ne frega. Certo, c’è un sistema elettorale diverso. Per carità, non si sono messi insieme prima, ma hanno potuto farlo dopo. Dopodiché è chiaro che noi dobbiamo interrogarci e capire. Intanto adesso ci metteremo a fare l’opposizione e rimaniamo il perno di qualunque alternativa alla destra in questo Paese. Solo così potremo ricostruire il nostro profilo identitario più più netto e più visibile, che in qualche modo si è appannato. Gli altri sono partiti personali che potranno portare il loro contributo: ma noi siamo il perno”.

Prima del Congresso allora possono servire gli Stati Generali del centrosinistra? “Siamo nati nel 2007 proprio con l’idea di aprirsi alla società italiana e quindi cercare di diventare il punto di riferimento anche di tanti mondi che magari non si ritrovano più nelle vecchie sigle. Noi dobbiamo recuperare questa funzione, quindi di grande apertura e grande disponibilità all’apporto anche di figure nuove, di mondi magari che ci guardano con attenzione, ma che oggi sono perplessi. Il Congresso deve servire a riannodare i fili di dialogo con una parte significativa della società italiana e il Partito democratico ce l’ha nel Dna questa tendenza all’apertura. Certamente il Congresso ci aiuterà, ma ci aiuterà anche un periodo di opposizione che certamente è anche l’occasione e un’occasione per ritrovare le proprie ragioni, ritrovare la sintonia con la società, ritrovare un progetto di Italia che sia capace di appassionare e di motivare gli elettori. Abbiamo davanti un percorso interessante e per fortuna che c’è il Partito democratico. Teniamocelo stretto perché è un grande strumento che sarà utilissimo in questa fase politica”.

@FDepalo

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