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Quale prima tappa per Meloni, Berlino o Kiev? I dossier del governo secondo Parsi

“Kiev e Parigi le prime tappe più semplici per Meloni premier, più difficile scegliere Taiwan o Berlino. Le nuove relazioni mediterranee? Ci sono Paesi con i quali, piaccia o meno, bisogna tornare a stringere rapporti: chi non lo capisce vuol dire che vive su Marte. Balcani strategici, occhio a Serbia e Bosnia”. L’analisi del docente alla Cattolica di Milano

Come verrà improntata la politica estera del governo Meloni I appare chiaro da settimane: l’euroatlantismo conservatore si è rispecchiato non solo nell’appoggio incondizonato a Kiev, ma anche nell’approccio al dossier Cina. La dichiarazione antimeloniana pubblicata giorni fa sul sito dell’ambasciata della Repubblica Popolare in Italia, che non menziona la premier in pectore ma la invita a rispettare il principio di “una sola Cina”, conferma la postura di FdI verso Pechino, che però prosegue il pressing in campo tecnologico.

Non ci sono solo i semiconduttori e la robotica a preoccupare, come dimostrano gli attacchi al dominio sottomarino, ma anche la tutela delle infrastrutture digitali e il dossier 5G. E’chiaro a tutti (anche alla Meloni e al futuro ministro degli Esteri) che un’Europa politicamente più debole, per via delle divisioni sul price cap, fa proprio il gioco cinese. Di contro, un’economia più debole in Europa rappresenta un problema per le esportazioni cinesi. Per questa ragione immaginare una road map dei primi viaggi del nuovo premier sarebbe una cosa utile per gli interessi strategici italiani.

Kiev o Parigi

Quali i primi viaggi di Meloni premier, a Kiev e Taiwan o meglio partire con Parigi e Berlino? “Sono le due tappe significative e tutto sommato a buon mercato. Tra Ucraina e Taiwan è più semplice la prima; come tra Parigi e Berlino è più semplice Parigi – ragiona con Formiche.net Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, analista, scrittore, autore di “Titanic. Naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale” (Il Mulino) – Come dico spesso ultimamente, in questi giorni si apre un decennio di ferro, se siamo fortunati. I vasi di coccio rischiano di essere particolarmente inadatti e in un periodo di ferro come questo, l’Unione deve rafforzarsi molto e deve trasformarsi da paradosso in direzione opposta a quella che Meloni aveva in testa”.

La realtà è che, per poter sopravvivere, questa Europa e gli Stati membri hanno bisogno di maggiore coesione, aggiunge, ovvero di maggiore interazione e quindi di meno sovranità. In questa situazione ibrida, se tutti diventano sovranisti, i Paesi più forti come Germania e Francia vincono. E l’Italia? “Dico che andare verso una direzione federale significa rafforzare il peso di quei paesi che, da soli, avrebbero meno chances di pesare. Questo il punto”.

Quale crisi per l’Ue?

I governi europei devono scegliere quale tipo di crisi avere: una energetica o una fiscale, scrive Bloomberg. Le stime sull’entità dello shock vanno dal 6% all’8% del Pil per l’Europa. Al consiglio europeo del 20 ottobre dovrebbe andarci la Meloni? “Se non è ancora primo ministro no, non può andarci per forza – precisa Parsi. Ma deve andarci di corsa dopo. E Bloomberg è molto tagliente circa il rischio di dover scegliere tra due differenti tipi di crisi: ovvero il rischio di scegliere la cosa peggiore, cioè di beccarsi una disastrosa crisi energetica, quando razionalmente andrebbe fatto il contrario”.

Spiega: “Dico questo perché una crisi fiscale è una crisi che si può diluire nel tempo, in cui si dovrà rincontrattare il debito. Si tratterà di avere oneri bancari più pesanti al livello complessivo e quindi non di singoli Stati che fanno deviazioni dal bilancio. Invece una crisi energetica uccide le economie degli Stati e quindi non c’è dubbio che piuttosto della crisi energetica meglio quella fiscale. Però non è detto che con questi chiari di luna, paesi come Germania e Olanda che sono in grado di non subire un impatto immediato dalla crisi energetica, vogliano scegliere la crisi fiscale. Proprio perché non siamo abbastanza federali”.

Roma e il Mediterraneo

Riguardo invece alle relazioni con i paesi euro-mediterranei, quindi il versante meridionale, quali sono le priorità che il nuovo governo dovrebbe tenere a mente? Secondo Parsi ci sono sul tavolo tre priorità. La prima è quella di assicurarsi il fabbisogno energetico, non solo in veste di sostituzione di quello russo, ma complessivamente: “Quindi ci sono Paesi con i quali, piaccia o meno, bisogna tornare a stringere rapporti e chi non lo capisce vuol dire che vive su Marte. La seconda priorità è una gestione dell’immigrazione in cui la strategia passa innanzitutto da una capacità di governarla. In Italia c’è un cattivo governo del territorio, nonostante l’enorme numero di forze di polizia. Non ci sono poliziotti per strada e questo è abbastanza singolare. Per cui serve un’applicazione delle leggi. Devono essere umane e perciò essere applicate in maniera tale da garantire effettivi diritti a più persone e non a garantire niente a nessuno”.

E sottolinea che bisogna essere in grado di offrire qualcosa che amministri complessivamente le cause che scatenano le ondate migratorie o la non tenuta dei confini in paesi come la Tunisia, che rappresenta uno dei grandi hub di immigrazione. “In questo momento con la Siria che si è sollevata, con l’assenza di un possibile intervento da fare in Libano, l’Italia ha dinanzi a sé un grandissimo impegno, quindi si dovrebbe a mio avviso lavorare in questa direzione”.

Africa, la “crisi diesel”

La terza questione secondo Parsi è una questione di agenda comune nordafricana e sud europea, “visto che non gestiamo più quell’area e spesso la lasciamo andare alla deriva, perché giustamente siamo concentrati sull’Ucraina, sull’Iran e Taiwan ovvero le gravissime crisi impellenti”. Ma poi, aggiunge, c’è una crisi diesel, per così dire, che monta da tempo in cui l’Africa subsahariana rischia di esplodere nel giro di 15 anni in termini di flussi demografici. Per cui bisognerebbe lavorare di concerto con i Paesi nordafricani che sarebbero travolti quanto noi da questo”.

Italia nei Balcani

Infine il versante balcanico, con le elezioni in Bosnia e il dossier allargamento-Ue: che sfide al nuovo governo italiano? “In primis vedo la Serbia come un problema per la sicurezza nei Balcani, visto che la politica del governo serbo è legata alle relazioni con Mosca. Questo è il principale nodo, che poi scalda tutta la questione bosniaca. Forse bisognerebbe essere anche abbastanza laici circa il fatto se la Bosnia debba in qualche modo ricomporsi o meno. Una riflessione ce la faremo. Nel senso che una Bosnia più piccola priva della Repubblica serba, prima delle altre zone croate integrate nelle varie entità territoriali, può essere integrabile più rapidamente nell’Unione di una grande Bosnia che sta in piedi solo grazie ad una presenza militare importante occidentale. Aprire almeno una riflessione su questo credo sarebbe utile per Roma”.

@FDepalo


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