I Talebani sono quanto di più distante dal mondo delle Democrazie idealizzato dall’amministrazione Biden, ma la Cia (e gli Usa) non intende perdere contatto completamente con i leader afghani
La scorsa settimana, per la prima volta da quando il leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, è stato ucciso dagli Stati Uniti nel suo appartamento di Kabul alla fine di luglio, due funzionari dell’amministrazione Biden hanno incontrato di persona i Talebani.
È un passaggio importante che segna il riavvio dei complicati contatti tra Usa e Afghanistan, che si inseriscono nel quadro della lotta al terrorismo (che resta una priorità Usa, come dimostra anche la recente operazione in Siria contro un leader di alto profilo dell’Is). Ma anche nelle dinamiche del contesto centro-asiatico. Ambito geopolitico all’interno del quale Washington lavora a detrimento degli interessi russi, senza sbilanciare il coinvolgimento ed evitando che quest’attività possa però comportare un rafforzamento cinese.
L’amministrazione statunitense ha inviato il vicedirettore della Cia e il più alto funzionario del dipartimento di Stato responsabile per l’Afghanistan in Qatar, per colloqui con la delegazione talebana, che comprendeva anche il capo dell’intelligence, Abdul Haq Wasiq. Doha è il centro di questi contatti, visto che le nazioni occidentali non hanno formalizzato attività diplomatiche nell’Emirato islamico di Afghanistan per evitare riconoscimenti ufficiali del regime talebano.
Dopo l’uccisione di Zawahiri in un attacco, gli Stati Uniti hanno accusato i Talebani di una “chiara e palese violazione dell’accordo di Doha”, mediato dall’amministrazione Trump con l’obiettivo di procedere con un ordinato ritiro da una di quelle che l’allora presidente definiva “endless war”, raccogliendo il sentimento di frustrazione e disinteresse dell’elettorato riguardo certi impegni onerosi e senza ritorni visibili.
In base all’accordo che nell’agosto 2021 portò i soldati americani fuori dall’Afghanistan dopo un ventennio di guerra, i Talebani — che in quel modo erano in procinto di riottenere implicitamente il controllo del Paese, visto l’inefficacia delle istituzioni afghane nel gestire il proprio territorio — non avrebbero potuto ospitare terroristi. Invece i funzionari americani hanno accusato i leader talebani della rete Haqqani — una componente interna ai Talebani, collegata all’influente gruppo tribale omonimo — di essere a conoscenza della posizione di Zawahiri, e di aver concesso protezione al leader qaedista, come fatto in passato con Osama bin Laden e l’establishment dell’organizzazione responsabile degli attacchi del 9/11.
Da allora, gli Stati Uniti hanno continuato a parlare a distanza con i Talebani, negoziando anche il rilascio del cittadino statunitense Mark Frerichs — rilasciato quasi tre settimane fa dopo oltre due anni di prigionia, con l’aiuto del Qatar. Ma gli alti funzionari non si incontravano faccia a faccia da alcuni giorni prima che Zawahiri fosse ucciso, il 31 luglio.
La presenza del vicedirettore della Cia, David Cohen, e del talebano Wasiq all’incontro che si è svolto giorni fa è segnata con un’enfasi sulla cooperazione per l’antiterrorismo, seguendo ciò che il mese scorso la Casa Bianca ha indicato come “un lavoro in corso”.
Cohen era accompagnato dal rappresentante speciale del dipartimento di Stato per l’Afghanistan, Tom West, che ha spesso guidato i contatti con i Talebani dopo il ritiro degli Stati Uniti lo scorso anno.
Il quadro è questo: sebbene i Talebani mantengano legami con Al Qaeda, stanno affrontando contemporaneamente un’insurrezione da parte della filiale regionale dello Stato Islamico, conosciuta come ISIS-K. Il gruppo ha regolarmente preso di mira la minoranza etnica hazara in Afghanistan. Almeno 25 persone, soprattutto giovani donne, sono state uccise in un attacco suicida la scorsa settimana in un centro educativo in un quartiere a maggioranza hazara di Kabul. Per l’intelligence statunitense c’è la possibilità che ISIS-K diventi più importante e faccia da centro di reclutamento e coordinamento per attentati internazionali — che potrebbero colpire anche in Europa.
“I Talebani stanno lottando per prevenire gli attacchi dell’ISIS-K, facendoli apparire come incapaci, in particolare a Kabul”, ha spiegato Beth Sanner, ex vicedirettore dell’intelligence nazionale che ha guidato l’analisi dell’Afghanistan presso la Cia e ora collabora con la CNN. “È probabile che Cohen trasmetta un messaggio deciso: condurremo altri attacchi, come abbiamo fatto contro Zawahiri, se scopriremo che i membri di al-Qaeda in Afghanistan sostengono operazioni che minacciano gli Stati Uniti o i loro alleati”, ma potrebbe anche aver fornito garanzia e sull’impegno per colpire i baghdadisti locali. “L’ISIS-K ora rappresenta una minaccia interna afghana, per i Talebani e per la stabilità settaria, dato che si concentra sull’uccisione degli sciiti, ma c’è una ragionevole preoccupazione che possa alla fine rivolgere il suo sguardo verso azioni esterne se i Talebani non sono in grado di contenerlo”, dice Sanner.
Il mese scorso l’amministrazione Biden ha annunciato di aver creato un “Fondo afghano” da 3,5 miliardi di dollari con parte del denaro afghano congelato (sanzione legata alla presa del potere talebana) per promuovere la stabilità economica. I fondi non sono ancora stati sbloccati perché gli Stati Uniti non ritengono che esista un’istituzione affidabile che garantisca che il denaro vada a beneficio del popolo afghano, e per questo sarà amministrato da un organismo esterno, indipendente dalla giunta estremista e dalla banca centrale del Paese.
Attualmente l’emirato radicale che ha preso in mano l’Afghanistan è uno dei mondi più distanti dalla concetto di democrazia di cui l’amministrazione Biden si è fatta alfiere globale — contro i modelli di governance, anche internazionale, proposti dalle autocrazie rivali. Tuttavia serve un approccio pragmatico. La giunta talebana difficilmente potrà essere rimossa dal potere nel breve periodo senza creare un ulteriore bubbone di caos in una regione sensibile, sia per la geopolitica delle potenze che per il quadro securitario internazionale. Contatti e forme indirette di assistenza servono a mantenere una forma d’ordine che in questo momento è di utilità per tutti.