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Il “né aderire né sabotare” di Feltri e Fini che non convince. Il commento di Polillo

La Russia, secondo il doppio pensiero Fini-Feltri, non ha fatto altro che “applicare la logica americana adottata da Bill Clinton e fatta propria dal governo di Massimo D’Alema per giustificare come nobile e giusta la guerra contro la Serbia”. L’idea di un appeasement, pensata da Chamberlain nei confronti di Hitler, si risolse in quel grande cataclisma che fu la Seconda guerra mondiale. Un monito da non dimenticare. La riflessione di Gianfranco Polillo

Vittorio Feltri é quel grande giornalista che tutti conosciamo. Penna intinta nel vetriolo. Ragionamenti stringenti. Linguaggio accattivante. Retorica al minimo, spesso condita da espressioni crude, tali da rendere al meglio il proprio argomentare. Insomma un maestro. Che tuttavia, come tutti i personaggi più illustri, a volte può sbagliare. Difficile, quindi, concordare con la sua difesa d’ufficio a favore di Massimo Fini. Ed il fatto che, in questo caso, il pensiero tra i due sia coincidente, non fa altro che aggravare la cosa.

Il dato del contendere è nientemeno l’Occidente. Che può ovviamente sbagliare e, di conseguenza, essere sottoposto alla necessaria critica. E fin qui nulla da eccepire. Un vecchio detto ci ricorda che solo chi sta con le mani in mano non rischia. Quello che invece convince meno è l’analogia. La Russia, secondo il doppio pensiero Fini-Feltri, non ha fatto altro che “applicare la logica americana adottata da Bill Clinton e fatta propria dal governo di Massimo D’Alema per giustificare come nobile e giusta la guerra contro la Serbia”. Per cui, sintetizziamo, è difficile oggi condannare Putin. Visto che gli americani bombardavano Belgrado, come oggi i russi bombardano Kiev.

Il paragone, a nostro modesto avviso, non regge. Troppo diverse le situazioni storiche per non tenerne conto. La Jugoslavia di Tito era stata il prodotto della Seconda guerra mondiale. Durante quella fase le truppe irregolari, in prevalenza serbe, avevano combattuto contro i tedeschi e gli italiani. Dopo Yalta, quelle terre erano state assegnate allo stesso Tito. Il che equivaleva dare alla Serbia un controllo assoluto. Un controllo che, nel corso degli anni aveva soffocato le spinte autonomiste delle diverse comunità ed etnie. Sloveni, Croati, Bosniaci, Montenegrini e via dicendo.

Con il crollo dell’Unione sovietica, quelle spinte, represse per anni, divennero incontenibili, dando luogo, come del resto era avvenuto per la Russia, alla formazione di entità indipendenti: Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Montenegro e via dicendo. Ipotesi che la Serbia non accettò, cercando di riconquistare, con le armi, un predominio perduto. Che poi quel tentativo assunse, anche, un odioso significato razzista rappresentò solo un’aggravante.

Feltri sostiene in proposito che le informazioni sulle stragi compiute da Milosevic, nella provincia autonoma del Kossovo contro “la minoranza albanese-musulmana erano quanto meno eccessive”. Tesi indimostrabile, a causa della morte prematura dello stesso Milosevic, prima che il processo internazionale, a suo carico, potesse giungere a sentenza.

Il caso dell’Ucraina, invece, più che essere paragonabile a quelle vicende, richiama alla mente i casi dell’Ungheria del 1956 o della Cecoslovacchia del 1968. Con uno Stato imperialista – ieri l’Urss, oggi la Federazione Russa – che interviene militarmente per rimettere in sella un governo fantoccio, avversato dalla stragrande parte della popolazione. Come del resto stanno dimostrando le alterne vicende dell’invasione. Una resistenza così forte ed agguerrita trova la sua forza principale nella partecipazione popolare. E solo dopo nelle armi fornite dall’Occidente.

Si pensi al Vietnam. Anche allora la vittoria di Hồ Chí Minh non fu certo il frutto dell’appoggio militare russo-cinese. Ma di quel desiderio irrefrenabile di uomini liberi, che spinge a lottare per il proprio destino.

Queste differenti valutazioni non portano, ovviamente, ad avallare tutte le scelte compiute dagli americani o dalla stessa Nato. In altri casi, a partire dall’invasione dell’Iraq e dalla cacciata di Saddam Hussein, con il pretesto di prevenire l’uso di armi di distruzione di massa (mai trovate), gli errori compiuti sono risultati più che evidenti. Anche se Feltri stranamente non cita quest’episodio, nell’elenco delle nefandezze compiute. L’errore comunque rimane. Come la certezza che in molti casi gli americani hanno sbagliato. Come, appunto, stanno ora sbagliando i russi. Il che dovrebbe tagliare la testa al toro e spingere verso una più decisa condanna, al fine di non perseverare diabolicamente.

Ma tutto ciò non sarebbe forse una ragione sufficiente per opporsi, fornendo alla resistenza Ucraina l’appoggio necessario, se a monte non vi fosse l’intenzione dichiarata del Cremlino di ricacciare indietro un Occidente considerato decadente e in pieno disfacimento. Per puntare su una geopolitica segnata da un nuovo dominio russo-cinese. Di cui la riconquista, con le armi, dell’Ucraina, sarebbe solo un primo passo. Sarà così? Ogni dubbio è lecito. Meglio tuttavia non rischiare. È la stessa storia europea che spinge a diffidare. Com’è noto l’idea di un appeasement (ottenere la pace a prezzo di concessioni), pensata da Neville Chamberlain nei confronti di Hitler, si risolse in quel grande cataclisma che fu la Seconda guerra mondiale. Un monito da non dimenticare.



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