Dopo che la Corte europea aveva annullato il precedente accordo, il presidente statunitense ha emanato un nuovo ordine esecutivo che prevede la protezione dei dati degli europei, tutelati dall’accesso delle agenzie di sicurezza Usa (a parte in alcuni casi). Alcuni hanno accolto la notizia con entusiasmo, altri nutrono ancora forti dubbi. E se la Casa Bianca dovesse cambiare colore, potrebbe revocare le norme appena approvate
Tranquilli, ma non troppo. Con il nuovo ordine esecutivo “sul rafforzamento delle salvaguardie per le attività di intelligence degli Stati Uniti”, il presidente Joe Biden ha provato a togliere alcune paure a Bruxelles, che lamentava un’ingerenza da parte delle agenzie di sicurezza americane, in grado di accedere ai dati degli utenti europei. Con questa mossa, si dovrebbe riprendere un discorso interrotto nel 2020 dalla Corte di Giustizia dell’Ue, che aveva annullato il Privacy Shield, visto che non rispettava i parametri europei. Da Washington hanno riconosciuto come le attività dei loro agenti “dovrebbero trattare con dignità e rispetto tutte le persone, indipendentemente dalla loro nazionalità o dal luogo in cui risiedono” dato che ognuno di loro possiede “legittimi interessi alla privacy nel trattamento delle loro informazioni personali”. Pertanto, verrà istituito un apposito tribunale, formato da giudici indipendenti non nominati dal governo, che valuterà i reclami per violazione della privacy presentati dagli europei.
È stato confermato, quindi, quanto preannunciato venerdì a Londra dalla segretaria britannica per il Digitale, Michelle Donelan, e dalla segretaria statunitense per Commercio, Gina Raimondo. Ancor prima, furono le massime cariche a parlarne pubblicamente. A marzo scorso, Joe Biden e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, annunciavano un “principio di accordo” sulla questione che avrebbe offerto “protezioni senza precedenti per la privacy dei dati e la sicurezza dei nostri cittadini”. In America l’executive order è entrato immediatamente in vigore, mentre l’Europa dovrà aspettare qualche mese. Entro metà aprile, i garanti della privacy europea dovrebbero produrre il loro parere sull’approvazione.
La decisione è stata accolta con entusiasmo, in primis, dalle aziende e associazioni del settore. Microsoft l’ha definita “un’importante pietra miliare per la protezione dei dati” e la società si dice pronta a svolgere la sua parte. Ibm, attraverso la sua responsabile, è convinta di come con questo ordine esecutivo “assicurerà i vantaggi reciproci di una cooperazione commerciale continua e creerà le basi per la crescita economica futura”. Parole simili sono state pronunciate anche dalla Computer & Communications Industry Association (Ccia). “Questo ordine esecutivo risponde alle preoccupazioni sollevate dall’Unione europea, aprendo la strada a un nuovo e rafforzato quadro Ue-Usa sulla privacy dei dati”, ha affermato Christian Borggreen, vicepresidente senior e Head of Office di Ccia Europe. “Il nuovo accordo è di grande importanza, in quanto sosterrà il proseguimento del commercio transatlantico, rafforzerà la protezione dei dati e fornirà chiarezza giuridica per i trasferimenti di dati tra l’Ue e gli Stati Uniti”. Peter Swire, professore di Georgia Tech e esperto della questione, prova a diffondere ottimismo dicendo che secondo lui il nuovo quadro normativo soddisferà tutti.
Ai commenti positivi, seguono quelli degli scettici. Su tutti, spicca quello dell’attivista Max Schrems, i cui ricorsi sono alla base della fine del vecchio strumento. Per lui l’ordine esecutivo è come “mettere molto rossetto sullo stesso maialino”, ritenendolo pertanto inutile. A Bruxelles, ha affermato, stanno “chiudendo di nuovo un occhio sulla legge statunitense per consentire di continuare a spiare gli europei”. Sebbene gli Stati Uniti abbiano messo nero su bianco che non prenderanno i dati dei cittadini del nostro continente, Washington si è riservata il diritto di farlo in alcune situazioni, come la sicurezza informatica e le minacce a quella nazionale. Tutto ciò non rasserena gli europei, che potrebbero quindi respingere questo scudo protettivo.
C’è da credere che, così come nel passato con Facebook, Schrems porterà il nuovo accordo in tribunale. Una volta impugnato, sarà di nuovo la Corte europea a vivisezionarlo e a offrire il suo giudizio in merito. Se sarà negativo, Stati Uniti ed Unione europea si troveranno di nuovo da capo a dodici e dovranno trovare ancora una volta un’intesa comune.
In realtà il dietrofront potrebbe arrivare proprio dagli Stati Uniti. Quello emanato da Biden è un ordine esecutivo che, se fra due anni cambierà il colore della presidenza, potrebbe essere annullato da chi gli succederà. Non sarebbe di certo la prima volta, visto che uno dei primi passi compiuti da Biden quando è stato eletto fu proprio quello di mettere mano ad alcuni ordini esecutivi emanati da Donald Trump. Un banco di prova arriverà già il prossimo otto novembre, quando l’America voterà per le elezioni di Midterm. Da lì si capirà quanta libertà di manovra avranno i democratici. E, in parte, quanto lunga potrebbe essere la vita dell’ultimo executive order.