Il grande processo alla mafia degli anni ’80 istruito da Falcone e Borsellino raccontato nell’aula bunker da uno dei principali protagonisti: l’allora giudice a latere Pietro Grasso. L’intervista di Gianfranco D’Anna all’ex presidente del Senato
Dalla magistratura alla politica e ritorno alla toga. Protagonista e testimone diretto dell’epopea antimafia Pietro Grasso, anche se non più in servizio effettivo ma in qualità di prestigioso promotore di legalità e di memoria, torna nell’aula bunker di Palermo dove fu il giudice a latere dello storico maxiprocesso a Cosa nostra, che segnò l’inizio della fine della mafia.
“Sento il dovere e l’urgenza di raccontare a chi non c’era quel periodo di grandi successi e brucianti sconfitte, soprattutto per spiegare ai giovani Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”, dice l’ex presidente del Senato, 78 anni, già procuratore nazionale antimafia e procuratore capo di Palermo. Un ritorno carico di ricordi personali e cronache giudiziarie quotidiane trasformatesi in storia emblematica, nell’ambito della visite guidate promosse dal presidente del Tribunale palermitano, Antonio Balsamo.
Assieme a Giuseppe Ayala, pubblico ministero del maxiprocesso e ad alcuni giornalisti che seguirono tutte le udienze, dall’apertura il 10 febbraio 1986 alla sentenza del 16 dicembre 1987, Grasso è il principale testimone di un processo monstre con 460 imputati, fra boss e gregari delle cosche. Un processo conclusosi con 19 ergastoli e 246 condanne per complessivi 2.665 anni di carcere.
Dopo la scomparsa del presidente Alfonso Giordano e soprattutto del cancelliere capo Vincenzo Mineo, che organizzativamente rese materialmente possibile ed in maniera ineccepibile lo svolgimento di un dibattimento che rappresentava l’enciclopedia ancora non del tutto disvelata dei delitti e dei profitti di cosa nostra, l’allora giudice a latere concluderà il 30 ottobre il ciclo di visite guidate dell’aula bunker aperte al pubblico.
Un’esperienza inesauribile quella del maxiprocesso?
Ho iniziato a incontrare le ragazze e i ragazzi dopo la stagione delle stragi, e non ho mai smesso. Dopo trent’anni sento il dovere e l’urgenza di raccontare a chi non c’era quel periodo di grandi successi e brucianti sconfitte, soprattutto per spiegare ai giovani che Falcone e Borsellino sono esempi da imitare, soprattutto per il loro senso del dovere, nelle scelte di vita quotidiana.
Perché magistratura e politica invece che costituzionalmente consequenziali sono spesso contrapposte?
La politica fa le leggi, la magistratura vigila che vengano rispettate. In base ai principi costituzionali la divisione dei poteri è limpida e non dovrebbero essere l’una contro l’altra. Sappiamo che nel recente passato non è stato così, ma questo rappresenta una patologia del sistema, non la norma.
Valutazioni dell’attuale momento politico istituzionale?
Un risultato elettorale netto, che apre una stagione con una maggioranza chiara, per quanto non omogenea, e un’opposizione divisa, in un momento storico difficilissimo e con una crisi economica e sociale che rischia di esplodere. L’opposizione non si fa solo in Parlamento, dovremo essere tutti molto vigili e attenti nei prossimi mesi, per evitare stravolgimenti della Costituzione e passi indietro sui diritti civili e sociali. I dati sulla povertà usciti ieri confermano quale deve essere la priorità del governo: ridurre le disuguaglianze e sostenere chi ha maggiori difficoltà.
La politica sta rimuovendo l’impegno antimafia o è Cosa nostra che mimetizzandosi riesce a non far parlare delle molte problematiche ancora aperte della lotta alle cosche?
Purtroppo, nonostante gli allarmi e i segnali ad esempio sui fondi Pnrr e sulle prossime Olimpiadi, il tema non è più nell’agenda politica e mediatica. Cosa nostra fa il suo mestiere, si inabissa e porta avanti i suoi affari e i suoi rapporti con professionisti, imprenditori, burocrati, politica e parti sociali. Siamo noi a dover pretendere che anche lo Stato, in ogni sua componente, compresi i cittadini, faccia il suo dovere. Spero davvero che si torni a parlare di mafia e di contrasto alle organizzazioni criminali che depredano in maniera invisibile l’economia reale.
C’è anche una sorta di paradossale corsa all’appropriazione della memoria antimafia da parte di “esperti” che discettano di eventi ai quali non hanno partecipato?
Quella corsa è iniziata subito, lo denunciò già Borsellino ricordando Falcone: “Muore e tutti si accorgono quali dimensioni ha questa perdita. Anche coloro che per averlo denigrato, ostacolato, talora odiato e perseguitato, hanno perso il diritto di parlare!”. Sta a ciascuno fare i conti con la propria coscienza, e in fondo che se ne continui a parlare è comunque un bene.