Con Salvini alle Infrastrutture si gioca molto della credibilità italiana per superare i veti e le conflittualità esasperate sui territori che ancora persistono. L’analisi di Cianciotta, presidente dell’Osservatorio Infrastrutture di Confassociazioni e Abruzzo Sviluppo SpA
La probabile nomina di Matteo Salvini al ministero delle Infrastrutture è un indicatore interessante per spiegare perché l’esecutivo di centro-destra a guida Giorgia Meloni può diventare il nuovo governo del sì.
Le grandi infrastrutture e i dossier gestiti dal Mise (energia e idrocarburi in primis) nel governo gialloverde fin dall’inizio della scorsa legislatura avevano costituito un nodo cruciale nella continua dialettica politica tra la Lega e M5S (Salvini non a caso ha aperto la crisi dopo la spaccatura in Parlamento sulla Tav), perché alla base dei diversi valori politici dei due partiti che avevano dato vita al contratto di governo, c’era innanzitutto una visione diametralmente opposta sullo sviluppo e la crescita.
Differenza sostanziata nella opposta interpretazione delle politiche economiche (flat tax e reddito di cittadinanza) e nella individuazione degli strumenti a sostegno della crescita (e le infrastrutture costituiscono la misura più importante tra quelle anticicliche).
Il no alle grandi opere è stato da sempre uno dei temi principali dell’antipolitica e dell’offerta grillina, movimento nato sulla scorta del giustizialismo post Tangentopoli. La base dei Grillini, del resto, ha attinto proprio dal movimentismo contro le grandi opere come la No Tav Laura Castelli, nominata poi viceministro dell’Economia nel governo Conte gialloverde e nei governi successivi.
La Lega di Salvini, nonostante il tentativo dello stesso segretario di trasformarla in un partito nazionale, è espressione del nord. Sono stati gli imprenditori del nord, infatti, a sostenere l’ingresso della Lega nel governo Draghi; è nelle regioni del nord che si concentra la Lega di governo, superata però anche in quest’area del Paese da Fratelli d’Italia alle elezioni politiche, ed è proprio da quelle stesse regioni che provengono oggi le maggiori critiche all’operato di Salvini.
Il nord produttivo, dagli imprenditori e i liberi professionisti del Sì Tav scesi in piazza a Torino fino alla eccellente gestione commissariale del sindaco di Bucci a Genova con la costruzione del nuovo Ponte, ha manifestato il suo consenso forte agli investimenti in infrastrutture, coagulando intorno proprio allo sviluppo delle infrastrutture l’idea di rigenerazione dell’intero Paese.
Dare centralità al tema delle infrastrutture nell’agenda del nuovo Governo significa stimolare un percorso strutturato che avvii la costruzione di un ecosistema dinamico per rilanciare non solo gli investimenti nel settore, che devono contemplare anche le opportunità legate alla trasformazione digitale, ma anche l’affidabilità e la credibilità dell’Italia in termini reputazionali, minate negli ultimi anni anche dalle vicende della Tav e del Tap.
E poi, non ultima, c’è la questione del Pnrr che, sebbene dovrà essere sottoposto a revisione almeno nelle sue articolazioni temporali perché quattro anni per progettare e realizzare le opere nonostante il ricorso all’appalto integrato apparivano impresa già irrealizzabile prima del conflitto ucraino, ci potrà dire molto del Salvini ministro.
Un terzo degli interventi contenuti nel Pnrr, infatti, dovrà avvenire sotto l’egida del Ministero delle Infrastrutture e sarà molto interessante capire quale sarà la strategia del governo e dello stesso Salvini sia nei confronti delle UE che dei territori interessati, dove dovranno essere necessariamente accelerati i processi di relazioni istituzionali per comunicare e aiutare la percezione delle opere, come da alcuni anni fa molto bene ad esempio Terna con la coprogettazione degli interventi. Matteo Salvini alle Infrastrutture è una scommessa interessante sulla quale si gioca molto della credibilità italiana per superare i veti e le conflittualità esasperate sui territori che ancora persistono, come insegnano i casi di Piombino ma anche le tensioni in Puglia e Basilicata sull’off-shore, sul fotovoltaico e sugli impianti di accumulo dell’energia.
Salvini agli Interni avrebbe continuato a recitare un ruolo divisivo nella gestione delle crisi umanitarie del Sud Europa; alle Infrastrutture invece può aiutare l’Italia a contare di più nella complicata partita energetica che vede proprio il Mediterraneo al centro degli interessi di Usa, Russia, Turchia, Israele e Cina.